lunedì 28 settembre 2009

Umiliate e offese


IL CORPO DELLE DONNE è il titolo del nostro documentario di 25′ sull’uso del corpo della donna in tv. Siamo partiti da un’urgenza. La constatazione che le donne, le donne vere, stiano scomparendo dalla tv e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante. La perdita ci è parsa enorme: la cancellazione dell’identità delle donne sta avvenendo sotto lo sguardo di tutti ma senza che vi sia un’adeguata reazione, nemmeno da parte delle donne medesime. Da qui si è fatta strada l’idea di selezionare le immagini televisive che avessero in comune l’utilizzo manipolatorio del corpo delle donne per raccontare quanto sta avvenendo non solo a chi non guarda mai la tv ma specialmente a chi la guarda ma “non vede”. L’obbiettivo è interrogarci e interrogare sulle ragioni di questa cancellazione, un vero ” pogrom” di cui siamo tutti spettatori silenziosi. Il lavoro ha poi dato particolare risalto alla cancellazione dei volti adulti in tv, al ricorso alla chirurgia estetica per cancellare qualsiasi segno di passaggio del tempo e alle conseguenze sociali di questa rimozione.

Il corpo delle donne blog

Il potere

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ANALISI DEL FILM

Il film “Il potere” di A. Tretti nonostante gli iniziali apprezzamenti alla mostra di Venezia del ’72 non riuscì mai a pervenire al grande pubblico, rimanendo poco più che un film per circoli culturali. Quest’opera è stata ostracizzata probabilmente a causa della tesi non nuova ma scomoda e troppo diretta che presenta: marxianamente, il potere più vero e forte è economico mentre il potere politico è sovrastrutturale e, quindi, è strumento in mano di chi controlla la proprietà privata dei mezzi di produzione.
Il film illustra le origini e le manifestazioni del potere attraverso il tempo. Il regista sottolinea come il potere non cambi ma rimanga sempre nella mani di soliti pochi potenti; questi sono inscenati da Tretti attraverso tre attori mascherati de fiere, un leone, una tigre e un leopardo che rappresentano rispettivamente il potere militare, commerciale e agrario. Perché Tretti ha scelto proprio questi tre animali? La scelta non è casuale; il leone, infatti, l’animale aggressivo per eccellenza, è il potere militare, che nell’affrontare la conflittualità sociale predilige la violenza come unica soluzione possibile.
Caratterizza questo personaggio l’elmetto guglielmino, che ricorda il regime militaristico prussiano. Il potere agrario si colloca sulla falsariga di quello militare.
Il potere commerciale, la cui “r” moscia sembra alludere all’eloquio di Gianni Agnelli, è rappresentato da una tigre. Astuta e calcolatrice tende a cercare la via del freddo compromesso che mira alla salvaguardia dei propri interessi e privilegi.
L’apparizione delle fiere è un vero e proprio leitmotiv. Infatti queste compaiono ripetutamente; intervallano i diversi capitoli del film, sono messe in evidenza dall’uso del colore; rappresentano il potere che, nel corso del tempo, è sempre lo stesso. Il rischio di una lettura riduzionistica e quindi deterministica ci sembra evitato proprio grazie alla parodia.

Il film è composto da cinque episodi in bianco e nero, che ripercorrono la storia del potere. Nel primo episodio, l'età della pietra, connivente la paura, il potere finisce nelle mani di un furbo che si fa passare per divinità del fuoco. Nell'epoca romana, per vincere l'insorgente coscienza dei plebei, deve ricorrere all'assassinio del tribuno Tiberio Gracco. Nell'epoca del Far West, per aumentare la propria potenza, non rifugge dal genocidio perpetrato da coloni, soldati e galeotti inglesi. Nell'Italia posteriore al 1919, il potere viene arraffato dal fascismo, che ottiene l'appoggio dei portafogli borghesi, la benedizione, ben compensata dal Vaticano e che distrugge pluralismo e libertà democratiche. Nell'epoca moderna, il neocapitalismo s’impone mediante il consumismo, incontra forti resistenze popolari, vinte però grazie alle forze dell'ordine e al paravento socialista (“Chi non lo sa che ai giorni nostri ogni furfante vuole padroneggiare in un vestito rosso?” dice Lenin).
In particolare, il capitolo del fascismo è il più significativo per la sua forza dissacrante e parodistica. A Tretti interessa collocare il fascismo nei quadri del potere borghese, analizzandone le origini. La tesi del regista è che i poteri forti si servono del fascismo in funzione antirivoluzionaria e antisocialista per ristabilire l’ordine e la pace sociale. Simbolico è in questo senso l’episodio della marcia su Roma, dove un piccolo e nervoso Vittorio Emanuele II aspetta alle porte della capitale una sgangherata banda di camice nere, a cui si rivolge dicendo: “Avanti, avanti entrate, non fate complimenti”. Questo dimostra la convenienza anche da parte del re, della presenza di Mussolini al potere. La dittatura fascista rivela ben presto il suo carattere velleitario. Emblematico è l’intento di dimostrare l’efficienza delle forze armate attraverso la parata di una dozzina di anziani e scombinati poveracci che sfilano continuamente, via via trasformandosi in alpini, bersaglieri, carristi, arditi, granatieri. Con l’immagine di un’Italia guerriera e duratura, il fascismo cerca il consenso di massa.
Un altro elemento che emerge in quest’episodio è l’atteggiamento repressivo verso le opposizioni, per Mussolini, un “delitto contro lo stato”.
Le diverse opposizioni non sono tuttavia uguali per i fascisti, come è evidente nella scena in cui Tretti mostra prima una “dorata” prigione di liberali, poi quella affollata e in condizioni precarie dei comunisti, gli oppositori più scomodi al regime.

TECNICHE

Il film è stato costruito in modo volutamente artigianale, proprio per contrapporsi alla cinematografia di stampo holliwoodiano. Per realizzare “Il potere”, Tretti ha impiegato sette anni, di cui sei per pensarlo e solamente uno per girarlo, essendo venuto a mancare il produttore che inizialmente doveva finanziare il progetto. Quando infine trovò i fondi necessari, poté tradurre in immagini il suo pensiero. Il film è stato girato nell’area veronese con l’ausilio di pochi mezzi; gli attori, dalle facce di per sé eloquenti e dai tratti volutamente marcati, sono stati reclutati dalla campagna veneta. Questi personaggi sono l’emblema di un potere che nel corso del tempo è sempre lo stesso. Pochi attori interpretano ruoli diversi nel corso dei vari capitoli, come ad indicare che dietro le varie manifestazioni del potere stanno sempre gli stessi protagonisti. I personaggi ci ricordano le maschere di uno spettacolo di burattini; Tretti ci suggerisce velatamente che tutti i protagonisti che si susseguono nel corso del film sono strumenti nelle mani dei detentori del potere economico.
La maschera di Mussolini ne è un esempio lampante: è un fantoccio dai tratti caricaturali e ridicoli, che viene gettato via dalle tre belve che proclamano con tono sprezzante: “Questi burattini non ci servono più a nulla”. Tretti fa sua la lezione di Bertolt Brecht, da cui riprende l’arma del grottesco. La realtà viene stravolta in modo consapevole per invitare lo spettatore alla riflessione e per mantenere sempre vive le sue capacità critiche. Il regista non vuole che il pubblico si immedesimi nella rappresentazione, ma che rimanga sempre presente a sé stesso, essendo così in grado di valutare ciò che osserva. L’osservatore è quindi distaccato e portato spesso anche alle risate più genuine da scene di un’eccezionale violenza dissacrante che denunciano la faciloneria e la cialtroneria che stanno dietro la pomposità, la retorica, il gesto alato: ricordiamo il tentativo del “sommo” poeta Gabriele D’Annunzio di spiccare un temerario volo con l’aiuto di una “leggiadra” Eleonora Duse (più simile ad un barilotto che a una statua greca…). Il suo aereo rischia di sfasciarsi ancor prima del decollo, nonostante i ripetuti tentativi del poeta di farlo partire. D’Annunzio sbatte i piedi nervoso e, isterico, chiama la compagna, che è costretta a spingere la sgangherata carcassa per riuscire a farle prendere il volo.

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I RISCHI DELLA DEMOCRAZIA

I rischi della democrazia sono messi in luce dall’ultimo episodio del film, “epoca moderna”. Le tre belve, i simboli del potere, si rendono conto che un personaggio come Mussolini non serve più a nulla nella società di oggi. Ora il potere si esercita all’interno del sistema democratico attraverso il condizionamento massmediatico degli stili di vita. E’ il conformismo che produce i nuovi idoli moderni, come l’automobile, che viene pubblicizzata dall’alto degli scalini di una chiesa verso una folla in atteggiamento adorante. “L’uomo senza macchina è un uomo morto”, “sacrificate lo stipendio”, proclama il “sacerdote” dei consumi di massa. Il rischio di un regime come la democrazia rappresentativa è che l’opinione pubblica venga manipolata. La pubblicità è la prova che sia effettivamente possibile manovrare i cervelli. Il pubblico infatti non si lascia imbrogliare da informazioni palesemente distorte, ma piuttosto da sottili “bombardamenti” quotidiani, i messaggi pubblicitari, che hanno lo scopo di inculcare un determinato stile di vita. La forza della pubblicità è rappresentata da Tretti nell’episodio del “Moblon”: un’oggetto privo di qualsiasi utilità, proposto in continuazione da radio, televisione, manifesti nelle città… che si afferma come tendenza, come moda irrinunciabile. E il suo acquisto diventa quasi un obbligo.

E’ quindi la democrazia rappresentativa un regime che garantisce la libertà sostanziale ai cittadini? Secondo Tretti la risposta è negativa, la libertà e l’uguaglianza sono solo “maschere” di una più profonda disuguaglianza: il benessere ai giorni nostri, nel film simboleggiato dalla produzione in serie delle uova, viene deriso dal regista. “Oggi al mondo si sta bene, c’è sovrapproduzione e non si sa più a chi vendere i prodotti” dice l’industriale con a fianco un vescovo accondiscendente che elargisce benedizioni. Immediatamente dopo Tretti ci mostra una carrellata di immagini dal terzo mondo, di bambini morenti e affamati: è l’ultima stoccata beffarda all’indirizzo di una società capitalista che il regista ritiene decisamente ingiusta e falsa, dominata sempre dai soliti, pochi potenti.

fonte


venerdì 25 settembre 2009

La scrivania di Littorio

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"In un regime totalitario, come deve esser necessariamente un regime sorto da un rivoluzione trionfante, la stampa è un elemento di questo regime, una forza al servizio di questo regime; in un regime unitario, la stampa non può essere estranea a questa unità... La stampa più libera del mondo è la stampa italiana... Il giornalista italiano è libero perché serve soltanto una causa e un regime; è libero perché, nell'ambito delle leggi del regime, può esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione".

Benito Mussolini, 10 Ottobre 1928

Servizi segreti, 'ndrangheta e rifiuti tossici


*cercate di leggervi tutto l'articolo. ho evitato apposta di mettere solo il link*

fonte: L'espresso

L'ex boss della 'ndrangheta Francesco Fonti è soddisfatto e amareggiato allo stesso tempo. "Per anni nessuno ha voluto ascoltare quello che dicevo ai magistrati. Ho sempre ammesso di essermi occupato dell'affondamento di navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi. Ho indicato dove cercare: al largo di Cetraro, nel punto in cui il 12 settembre la Regione Calabria e la Procura di Paola hanno trovato a 480 metri di profondità un mercantile con bidoni nella stiva. Eppure, anche oggi che tutti mi riconoscono attendibile, devo affrontare una situazione assurda: vivo nascosto, senza protezione, con il pericolo che mi cerchino sia la cosca a cui appartenevo, sia i pezzi di Stato che usavano me e altri 'ndranghetisti come manovalanza". L'altra sera, aggiunge Fonti, "mi ha telefonato Vincenzo Macrì, il consigliere della Direzione nazionale antimafia. Ha detto: "Speriamo che ora non ci ammazzino tutti". Ecco di cosa stiamo parlando. Di vicende che puntano dritte al cuore della malavita internazionale e delle istituzioni". Nonostante questo, Fonti, trafficante di droga condannato a 50 anni di carcere, poi diventato collaboratore di giustizia, si sente sereno: "La mia è stata una scelta di vita: mi sono pentito perché ho avuto ribrezzo di quanto fatto da malavitoso, dopodiché succeda quel che deve succedere". Ecco perché non intende restare in silenzio. "Sono tanti i retroscena da chiarire", assicura. Tantopiù dopo sabato, quando è stato annunciato il ritrovamento lungo la costa cosentina della nave con i bidoni lunga circa 120 metri e larga una ventina: "In questo clima apparentemente più disposto alla ricerca della verità, voglio fornire un mio ulteriore contributo. In totale trasparenza. Senza chiedere niente in cambio, tranne il rispetto e la tutela della mia persona". Con tale premessa, Fonti squaderna storie di gravità eccezionale e con particolari che, ovviamente, dovranno essere vagliati dagli investigatori.

Il suo racconto parte dal 1992, quando l'ex boss spiega di avere affondato le navi Cunski, Yvonne A e Voriais Sporadais dietro indicazione dell'armatore Ignazio Messina. "Nel dossier che ho depositato alla Direzione nazionale antimafia (pubblicato nel 2005 dal nostro settimanale), ho scritto che in quell'occasione abbiamo inviato uomini del clan Muto al largo di Cetraro per far calare a picco la Cunski, mentre ho precisato che la Yvonne A era stata affondata a Maratea", dice Fonti: "Quanto alla Voriais Sporadais, indicai che a bordo aveva 75 bidoni di sostanze tossiche, ma non segnalai il punto esatto dell'affondamento. Oggi voglio precisare che la portammo al largo di Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, sulla costa jonica, e che a occuparsi materialmente dell'operazione fu il boss della zona Natale Iamonte ". Di più: "Lo stesso Iamonte", prosegue Fonti, "si è dedicato spesso allo smaltimento in mare di scorie tossiche. Specialmente quelle che provenivano da ditte chimiche della Lombardia". Nel caso della Voriais Sporadais, precisa, accadde tutto in una notte autunnale del 1992: "Io e il figlio di Natale Iamonte, di cui non ricordo il nome, salimmo sul motoscafo con un terzo 'ndranghetista che guidava e aveva una cassetta di candelotti di dinamite. Arrivammo al limite delle acque territoriali, montammo sopra la nave, facemmo portare a riva il capitano e l'equipaggio, dopodiché piazzammo i candelotti a prua e sparimmo indisturbati".

Fonti non ha problemi ad ammetterlo: "Era una procedura facile e abituale. Ho detto e ribadisco in totale tranquillità che sui fondali della Calabria ci sono circa 30 navi". E non parla per sentito dire: "Io ne ho affondate tre, ma ogni anno al santuario di Polsi (provincia di Reggio Calabria) si svolgeva la riunione plenaria della 'ndrangheta, dove i capi bastone riassumevano le attività svolte nei territori di loro competenza. Proprio in queste occasioni, ho sentito descrivere l'affondamento di almeno tre navi nell'area tra Scilla e Cariddi, di altre presso Tropea, di altre ancora vicino a Crotone. E non mi spingo oltre per non essere impreciso". Ciò che invece Fonti riferisce con certezza, è il sistema che regolava la sparizione delle navi in fondo al Mediterraneo. "Il mio filtro con il mondo della politica è stato, fin dal 1978, un agente del Sismi che si presentava con il nome Pino. Un trentenne atletico, alto circa un metro e ottanta con i capelli castani ben pettinati all'indietro, presentatomi nella Capitale da Guido Giannettini, che alla fine degli anni Sessanta aveva cercato di blandirmi per strapparmi informazioni sulla gerarchia della 'ndrangheta. Funzionava così: l'agente Pino contattava a Reggio Calabria la cosca De Stefano, la quale informava il mio capo Romeo, che a sua volta mi faceva andare all'hotel Palace di Roma, in via Nazionale. Da lì telefonavo alla segreteria del Sismi dicendo: Sono Ciccio e devo parlare con Pino. Poi venivo chiamato al numero dell'albergo, e avveniva l'incontro" Il contenuto degli appuntamenti, era sempre simile. "L'agente Pino mi indicava la quantità di scorie che dovevamo far sparire ", spiega Fonti, "e mi chiedeva se avessimo la possibilità immediata di agire". La maggior parte delle volte, la risposta era positiva. Ed era un ottimo affare: "Si partiva da 4 miliardi di vecchie lire per un carico, e si arrivava fino a un massimo di 30". Soldi che venivano puntualmente versati a Lugano, presso il conto Whisky all'agenzia Aeroporto della banca Ubs, o in alcune banche di Cipro, Malta, Vaduz e Singapore. Tutte operazioni che svolgevamo grazie alla consulenza segreta del banchiere Valentino Foti, con cui avevamo un cinico rapporto di reciproca convenienza ". Quanto ai politici che stavano alle spalle dell'agente Pino, secondo Fonti, sarebbero nomi noti della cronaca italiana. "Mi incontrai più volte per gestire il traffico e la sparizione delle scorie pericolose con Riccardo Misasi, l'uomo forte calabrese della Democrazia cristiana", dice, "il quale ci indicava se i carichi dovessero essere affondati o seppelliti in territorio italiano o straniero. La 'ndrangheta, infatti, ha fatto colare a picco carrette del mare davanti al Kenya, alla Somalia e allo Zaire (ex Congo belga), usando capitani di nazionalità italiana o comunque europea, ed equipaggi misti con tunisini, marocchini e albanesi". Rimane l'incontrovertibile fatto, aggiunge Fonti, "che la maggior parte delle navi è stata fatta sparire sui fondali dei nostri mari ". Non soltanto attorno alla Calabria, "ma anche nel tratto davanti a La Spezia e al largo di Livorno, dove Natale Iamonte mi disse che aveva 'sistemato' un carico di scorie tossiche di un'industria farmaceutica del Nord".

E non è finita. Secondo Fonti, un altro politico di primo piano avrebbe avuto un ruolo nel grande affare dei rifiuti pericolosi. "Si tratta dell'ex segretario della Dc Ciriaco De Mita, indicatomi a metà Ottanta da Misasi per trattare in prima persona il prezzo degli smaltimenti richiesti dallo Stato". Stando al pentito, lui e De Mita si sono visti "tre o quattro volte" nell'appartamento del politico a Roma, dove il boss fu accolto "con una fredda gentilezza". Nella prima occasione, ricorda, "mi fece sedere in salotto e disse: 'Sono soltanto affari'; frase che mi ha ripetuto negli incontri successivi, come a sottolineare un profondo distacco tra il suo ruolo e il mio". Fatto sta, continua Fonti, che "concordammo i compensi per più smaltimenti ". Poi, quando l'affondamento o l'interramento delle scorie veniva concluso, "l'agente Pino ci segnalava la banca dove potevamo andare a riscuotere i soldi ". Denari accreditati "su conti del signor Michele Sità, un nome di fantasia riportato sui miei documenti falsi. Andavo, recuperavo i contanti e li consegnavo alla famiglia Romeo di San Luca, dove ricevevo la mia parte: circa il 20 per cento del totale".

Da parte sua, l'ex segretario della Dc Ciriaco De Mita nega qualunque rapporto con Fonti: "Smentisco nella maniera più netta", commenta, "le affermazioni di una persona che non credo di conoscere. Porterò questo individuo innanzi al tribunale per rispondere penalmente e civilmente delle sue calunniose dichiarazioni". Vero è, specifica De Mita, "che Misasi era mio amico, e che abitava sotto di me, ma tutto il resto non ha assolutamente senso". Una replica alla quale seguono altri racconti dell'ex boss, che dopo il ritrovamento del mercantile sui fondali di Cetraro, non si limita a occuparsi dei retroscena di casa nostra, ma apre una pagina internazionale finora ignota sulla Somalia: "Avevo rapporti personali", dice, "con Ibno Hartomo, alto funzionario dei servizi segreti indonesiani, il quale contattava me e la 'ndrangheta per smaltire le tonnellate di rifiuti tossici a base di alluminio prodotte dall'industriale russo Oleg Kovalyov, vicino all'allora agente del Kgb Vladimir Putin". Un lavoro impegnativo per le dimensioni, spiega Fonti, gestito in due fasi: "Nella prima caricavamo le navi in Ucraina, a Kiev, le facevamo passare per Gibuti e le dirigevamo a Mogadiscio oppure a Bosaso. Nella seconda fase, invece, le scorie venivano affondate a poche miglia dalla costa somala o scaricate e seppellite nell'entroterra". Facile immaginare le conseguenze che tutto ciò potrebbe avere avuto sulla salute della popolazione. E altrettanto facile, secondo Fonti, è spiegare come le navi potessero superare senza problemi la sorveglianza dei militari italiani, che presidiavano il porto di Bosaso: "Semplicemente si giravano dall'altra parte", racconta il pentito. "Anche perché il ministro socialista Gianni De Michelis, che come ho già raccontato all'Antimafia gestiva assieme a noi le operazioni, era solito riferirci questa frase di Bettino Craxi: 'La spazzatura dev'essere buttata in Somalia, soltanto in Somalia'. Naturale che i militari, in quel clima, obbedissero senza fiatare". Allucinante? Incredibile? Fonti allarga le braccia: "Racconto esclusivamente episodi dei quali sono stato protagonista, e aspetto che qualcuno si esponga a dimostrare il contrario". Magari, aggiunge, "anche su un altro fronte imbarazzante: quello delle auto sulle quali viaggiavo per recuperare, nelle banche straniere, i soldi avuti per gli affondamenti clandestini dei rifiuti radioattivi". Gliele forniva "direttamente il Sismi", dice, "con la mediazione dell'agente Pino. Per salvarmi la vita, in caso di minacce o aggressioni, mi sono segnato il tipo di macchine e le matricole diplomatiche che c'erano sui documenti ". In un caso, "ho usato una Fiat Croma blindata con matricola VL 7214 A, CD-11-01; in un altro ho guidato un'Audi con matricola BG 146-791; e in un altro ancora, ho viaggiato su una Mercedes con matricola BG 454-602. Va da sé, che ci venivano assegnate auto diplomatiche perché non subivano controlli alle frontiere". Ora, dopo queste dichiarazioni, "i magistrati avranno nuovi elementi sui quali lavorare ", conclude Fonti. "Troppo facile e troppo riduttivo", sostiene, "sarebbe credere che tutto si esaurisca con il ritrovamento nel mare calabrese di un mercantile affondato ". Questa, aggiunge, non è la fine della storia: "È l'inizio di un'avventura tra i segreti inconfessabili della nostra nazione. Un salto nel buio dalle conseguenze imprevedibili".

giovedì 24 settembre 2009

Blu is back!


In collaborazione con David Ellis.
Animazione eseguita al Fame Festival 2009 - Grottaglie (TA)
Musica di Roberto Lange

mercoledì 23 settembre 2009

Durissima repressione militare in Honduras


I manifestanti pro Zelaya intorno all'ambasciata brasiliana attaccati dalla polizia. Feriti, arrestati e forse anche dei morti


"Siamo a diciassette ore di coprifuoco. E continuerà ancora. Polizia e militari hanno rotto i vetri delle auto e delle moto delle persone della resistenza. Stanno bruciando le loro auto. Si parla di tre morti. Feriti e coloro i quali sono stati trasportati in ospedale, sembra che i militari li stiano prelevando e portando via. Per portarli allo stato Chochi Sosa (proprio come fece Pinochet). Per favore aiutateci a diffondere questa notizia!"
D.E. Honduras.

Questa è una voce, delle tante, che si rincorrono via internet per gridare al mondo quanto sta accadendo in Honduras. La morsa della violenza repressiva degli uomini di Roberto Micheletti, il presidente golpista che, sostenuto dall'elite economica, sta governando il paese con il pungo di ferro. Da quando il presidente deposto, Manuel Zelaya, è riuscito a rientrare nel paese, fino a raggiungerne la capitale e barricarsi nell'ambasciata brasiliana, le forze dell'ordine cercano di fermare i manifestanti che, senza sosta, stanno invadendo le strade del paese per accogliere il presidente legittimo. Decine i feriti, tanti gli arrestati e probabilmente tre morti. Lo riportano anche fonti di TeleSur, che ha inviati sul posto.

"Sto diffondendo un rapporto dal centro di detenzione extragiudiziale di Villa Olimpica, nello stadio Chochi Sosa. Ci informano che oltre 120 persone sono lì detenute illegalmente. Tra loro dei feriti, anche gravi", denuncia Radio Liberada.

"Amiche e amici, mi trovo nell'edificio vicino all'ambasciata brasiliana, insieme a trenta compagne e compagni, ,a maggioranza appartenenti ad Artistas del Frente Nacional Contra el Golpe de Estado. Ci siamo riuniti qui per riposare, coscienti che da un momento all'altro l'esercito e la polizia entreranno nel perimetro dove assieme ad altri cinquemila persone circa volevamo offrire la nostra protezione al presidente Manuel Zelaya. Hanno attaccato alle 5.45 con fucili e lacrimogeni. Hanno ucciso un numero non precisato di uomini della prima barricata alla fine del Ponte Guancaste. Poi hanno virato e attaccato la barricata del ponte de La Reforma. Calcolando approssimativamente, l'operativo ha contato circa mille effettivi tra polizia e militari. Hanno caricato e colpito. Diciotto feriti gravi sono stati ricoverati nell'Hospital Escuela. Continuano a reprimere nel Barrio Morazán e nel Barrio Guadalupe gli studenti coraggiosi che si erano barricati dalla notte.
Davanti all'ambasciata del Brasile hanno installato un altoparlante con l'inno nazionale a tutto volume. Il presidente resta dentro, minacciato dai golpisti che grazie ai mass media di regime già hanno esplicato le loro ragioni per allontanarlo.
Migliaia di persone che si stavano dirigendo a Tegucigalpa sono stati arrestati nei pressi della città, che è vuota, una città fantasma. Il coprifuoco è esteso a tutta la giornata. La repressione contro manifestanti indifesi è brutale. In varie occasioni Radio Globo e Canal 36 sono state oscurate. Centinaia gli arrestati.
Qui siamo il nucleo principale degli organizzatori dei grandi eventi culturali della resistenza al golpe: poeti, cantautori, musicisti, fotografi, registi, pittori e pittrici, esseri umani". Firmato F.E.

E ancora. "Da qualche ora commandos della polizia, delle forze speciali Cobra e dei militari stanno aggredendo la gente che si trova intorno all'ambasciata brasiliana. Sono stati confermati due morti per ferita da arma da fuoco, sparati durante lo sgombero forzato. Gas lacrimogeni e spari tutto intorno all'ambasciata e vicino al palazzo dell'Onu, dove lo sgombero prosegue. È stata anche violata la sovranità brasiliana, in quanto un lato dell'edificio è stato colpito. In vari punti del paese si sente che a centinaia siano stati arrestati nei vari posti di blocco instaurati per evitare che la gente continui ad affluire Tegucigalpa. Ci appelliamo alla comunità internazionale, affinché con urgenza intervenga per esigere la fine della repressione immediatamente".

"Ci stanno massacrando. Stanno attaccando l'ambasciata del Brasile. Sono ormai centinaia i feriti. La vita del presidente e della sua famiglia è in pericolo. Gli organismi internazionali devono intervenire. La repressione è in tutto il paese. Abbiamo bisogno di una solidarietà attiva, effettiva per fermare la barbarie. La resistenza continua, pacifica". Oscar Amaya Armijo.
E ancora. "Le forze repressive del governo golpista ha lanciato una caccia al popolo honduregno nelle strade di Comayaguela e Tegucigalpa. Nei pressi dell'ambasciata brasiliana ci sono molte persone ferite. Alcuni sono scomparsi. Chiediamo aiuto a tutte le nazioni del mondo. Fermiamo questa barbarie. Ci appelliamo a tutti i paesi che si sono detti nostri amici, aiutateci ora. Non possiamo aspettare domani. È urgente! Le nostre vite sono in pericolo. La vita stessa del presidente e dei suoi familiari. Questa repressione è brutale". Anonimo. Dall'honduras.

"Purtroppo i pazzi si sono dimostrati quello che sono! Meno di un ora fa verso le 5 e mezza del mattino i militari e la polizia hanno attaccato la gente fuori dall´ambaciata del Brasile! Lacrimogeni e spari, repressione dura! Pattuglie ovunque per la capitale. Quella che era una festa nazionale l´hanno trasformata in una tragedia. Arrivano giá notizie di molte persone ferite, di bambini che nel fuggi fuggi si sono persi, di arresti a chiunque sia per le strade. Ci sono gia molte persone negli ospedali. Nel frattempo da tutto il paese si sta muovendo la gente, con i rischi che comporta mettersi in strada ora. Vi terró informati se sará possibile".

Questa la terza mail della cooperante italiana che sta sfidando repressione e coprifuoco pur di far arrivare la verità oltre il muro della censura imposta dal governo golpista. La situazione sta degenerando, com'era prevedibile e in puro stile Micheletti. E la reazione è appena cominciata, dato che l'Honduras si è appena svegliato, a colpi di manganello.

A nulla per ora valgono gli appelli del presidente legittimo, chiuso nell'ambasciata brasiliana a Tegucigalpa, e dei paesi dell'Osa, Stati Uniti in testa, a incamminarsi sulla via del dialogo, verso la democrazia ed elezioni regolari. La violenza è l'unica arma che per adesso dimostrano di conoscere i golpisti.

Fonte: Peace Reporter

sabato 19 settembre 2009

Breaking news dall'Afghanistan

Reddito medio di un cittadino afghano (statistiche molto ottimistiche del governo): euro 19 al mese.

Reddito mensile di un occupante italiano a Kabul:
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via Kelebek

giovedì 17 settembre 2009

Annullata la manifestazione di sabato 19

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Con una decisione incomprensibile la Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha deciso di rimandare la manifestazione prevista per sabato prossimo. La sospensione seguirebbe l'attacco a Kabul nel quale hanno perso la vita sei militari italiani. Lo annuncia La Repubblica senza fornire dettagli, che non si trovano nemmeno nella home del sito della FNSI. Chi abbia preso tale decisione e in base a quale logica non è dato saperlo.

Sospendere la manifestazione per un fatto del genere, pur luttuoso, significa negare il legame strettissimo tra la morte dei nostri soldati e la genesi della loro presenza in Afghanistan. Significa disconoscere che si trovano ancora là proprio grazie al conformismo di una stampa addomesticata che ha mancato i propri doveri di controllo e ha diffuso menzogne in serie proprio per rendere possibili le missioni in Iraq e Afghanistan. Veicolare ancora una volta, come in queste ore, la favola della missione "a portare la democrazia" significa mentire e nascondere agli italiani che le ultime elezioni sono state taroccate e che in Afghanistan la situazione è la peggiore che mai. Nonostante la situazione sia tragica non c'è traccia di dibattito sulla missione militare e questo anche grazie al sostanziale disinteresse dei media, fin troppo allineati al dispositivo bellico.

Sospendere la manifestazione significa schierarsi accanto a tutti quei politici e giornalisti che hanno mentito agli italiani e che non si sono nemmeno scusati quando le loro menzogne sono diventate autoevidenti, significa offendere ancora una volta la memoria di tutti quei militari (non solo italiani) che si trovano impantanati in una missione priva di senso e di scopi condivisibili, offrendo ancora una volta la sponda ai ridicoli guerrieri di carta al governo. Un'imbarazzante complicità travestita da lutto, sicuramente i militari italiani meritano di meglio di un gran bel funerale trasformato in occasione di propaganda governativa. Non solo i talebani hanno le mani sporche del sangue dei nostri militari.

via Mazzetta

lunedì 14 settembre 2009

La guerra si insegna a scuola

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Quando si ritorna dalle "vacanze" la cosa peggiore, si sa, è guardare la posta: bollette, bollette raccomandate, minacce dei gestori etc etc.
Quest'anno però, insieme alle tante bestemmie in busta, mi aspettava anche un anonimo pacco giallo. Dentro, il Vernacoliere.
Ve ne ho già parlato, lo so. Ma di questi tempi assicurarsi trenta pagine di risate al mese non è cosa da poco.
Bene, dentro al numero estivo, oltre alle tonnellate di spietato umorismo livornese e non, trovo un interessante articolo di Maria Turchetto.
Il pezzo della nostra amica inizia raccontando come la decade che sta per terminare (2001-10) sia stata proclamata dall'Onu "decennio internazionale per una cultura di pace e non violenza per i bambini del mondo". Assodata la retorica insita in un'iniziativa del genere, la Turchetto continua poi raccontandoci come già nel 2007 il governo italiano abbia deciso di promuovere gemellaggi di scuole italiane con le scuole in "aree di crisi" (sarebbero le aree di guerra - scrive - ma ormai l'avete capito: GUERRA non si dice più, è tabù). "Obiettivo prioritario del progetto" - si legge nelle linee guida del progetto dove tra gli altri vengono citati anche Gandhi e don Milani - "è quello di diffondere e sviluppare nelle giovani generazioni l'educazione alla pace, alla cooperazione, al rispetto della differenza e delle altre culture, valori sui quali dovrà fondarsi la società del domani".
Con l'avvento del governo Berlusconi, poi, le cose non potevano che peggiorare: il ministero della Difesa, passato nelle mani del colonnello fallito Ignazio La Russa, si è lanciato in una fitta azione di propaganda militare. Risultato: i finanziamenti previsti per il programma "La pace si fa a scuola" vengono prontamente utilizzati dalla regione Lombardia per l'organizzazione di una divertentissima iniziativa: il Training Day.
Copio: Arrivano a scuola i militari, fanno lezioni di tattica e di tiro, vestono i ragazzini con tute mimetiche e li fanno giocare al check point (sapete, quei posti di blocco dove ogni tanto capita di far fuori una bambina - ma tanto "gli afghani sono abituati a questi incidenti" ha commentato testualmente il responsabile delle nostre forze di pace, "un incidente provocato dalle armi è come da noi un incidente stradale"). Alla fine un bel giro sul carroarmato. Yuppi! Militare è bello! Forza bambini, correte ad arruolarvi!*
Il sito ufficiale ci dice che "il Training Day è strutturato come una gara militare per pattuglie grazie alla quale gli studenti possono condividere i Valori positivi che appartengono alle Forze Armate, Corpi dello Stato, Protezione Civile ed ai Gruppi Volontari di Soccorso". Il tutto è preceduto da un corso di formazione "suddiviso in lezioni teoriche (Diritto Umanitario, Cultura Militare, Tecniche e Tattica) ed attività pratiche sul campo".
Fantastiche le motivazioni che hanno spinto ad organizzare una simile infamata: in primis "la necessità alle (?) nostre Forze Armate di ampliare notevolmente la visibilità all’interno della società civile (in particolare nella scuola) e di proporsi quale scelta professionale “alternativa” rispetto a quelle civili", ma anche "il superamento da parte del mondo scolastico di anacronistici preconcetti che ponevano su piani assolutamente incompatibili le Forze Armate e la Scuola".
Per finire, un docente commenta soddisfatto l'evento dell'anno scorso: "il contatto con realtà per lo piu’ sconosciute come Croce Rossa, Protezione Civile, Esercito in un ambito di comune senso di solidarietà e coesione d’intenti, ha “acceso” in ragazzi quello spirito d’appartenenza che oggi, nei giovani, sembra perduto".**


Ora, pur non potendo definirmi uno spassionato pacifista, sono però un convinto antimilitarista. Soprattutto quando a capo dell'Esercito vi è un personaggio del calibro di La Russa.
In ogni caso, una cosa è certa: abbonatevi al Vernacoliere.
Farete del bene a voi e a chi vi circonda.
***


* Ad essere pignoli il progetto è rivolto a studenti delle scuole superiori. Ma cambia poco.

** Se volete approfondire qua c'è un notevole dossier sul caso pubblicato da romperelerighe.

*** No. Non mi pagano.

sabato 12 settembre 2009

Se lo dicono loro!

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Se non avete ben capito di cosa si tratta, guardate questo video.

giovedì 10 settembre 2009

Le mani sulla città

Imperia inaugurazione del nuovo molo lungo:
l'occhiale fa la forza
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Da sx a dx: Claudio Scajola, Piercarlo Scajola, Paolo Strescino, Marco Scajola


Il taglio del nastro:
Anna chi?
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Da sx a dx: Paolo Strescino, Anna Confalonieri (?!), Francesco Caltagirone, Fedele Confalonieri, Claudio Scajola, Maria Teresa Scajola

Risultato?
Il molo basso è diventato un parcheggio privato riservato ai diportisti (forse in futuro chiuso ai pedoni).
Non si può TOCCARE il mare perchè gli scogli sono stati sostituiti dal cemento e dagli ormeggi per le barche.
Le panchine sono SPARITE.

Grazie.

mercoledì 9 settembre 2009

Anti Mtv Day 8 @ XM24 (Bologna)

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VENERDI 18 SETTEMBRE 2009
dalle 22:30
Stop music business and television lobotomy

THE INPEPATEDS
OstiaHardPopDisaster

GRONGE


METROPOLITAN

TECHNO VETERANS

....AND MORE


SABATO 19 SETTEMBRE 2009
dalle 16.30

festival hardcore D.I.Y. con

PUTIFERIO
posthc delirio punk capriola all’indietro

GIUDA
crust masters album delle figu punk

SQUADRA OMEGA
original soundtrack psychedelic impro

SMART COPS
il fascino della divisa fastfwdX4 hc featuring??

VULTURUM
heavy slowest two drums too doom

TITOR
dal 2036 back to the future torino rnr starz

MARNERO
resident raccomandati tanto ride tanto piagne

DEATH BEFORE WORK
thrash fast n’ furious n’ pulcious heroes

NERVOUS KID
schizonoise mai troppa la caffeina

LLEROY
legge basaglia noise and roll yeah trio


inoltre da qualche parte
JOHNNY BELLASPETTO
dalla FiPiLi il cantautore definitivo
GIOVANNI BOTTONE
er gionni chesc de montesacro


all’interno
concerti, proiezione corto : "Berlikete" di ViralVisions,
contest di rutti, spazio mostre foto e illustrazioni
mercatino delle distro e dell’ autoproduzione
cibo vegan e non - wall painting - expo - fumetti - gare di coma etilico, lotta nel fango e cotillones

lunedì 7 settembre 2009

Torno subito

Adesso sto ascoltando questo.
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Che non è un quadro.
Ma un disco.
Della madonna.

Fatelo anche voi.

sabato 5 settembre 2009

Il sale della vita

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Come avrete notato non abbiamo (avuto) molto tempo per aggiornare il blog, ma arriveranno tempi migliori. Di sicuro tempi migliori per l'economia e il mondo del lavoro non ci saranno per almeno due anni.
Nonostante le vagonate di spudoratamente falso ottimismo lanciate dai vari omuncoli al governo e dai loro amichetti, quaggiù sulla terra le cose, lungi dal migliorare anche solo minimamente, sembra stiano sprofondando in una voragine senza fondo. A dircelo è un economista francese, esperto di indebitamenti e bancarotte, in quanto consigliere di amministrazione di Telecom Italia: Jean-Paul Fitoussi. Interventuto al galà delle stelle in quel di Cernobbio il nostro ha dichiarato ridendo: "C'è stato un crollo del PIL del 6% e adesso per un rialzo dello 0,3% sono tutti a parlare di uscita dalla crisi. Per quella dovremo aspettare almeno fino al 2012".
A rincarare la dose, ci pensa prima il presidente della Banca Centrale Europea, Trichet: "sono molto preoccupato per il fatto che molta gente pensa che i mercati stiano tornando alla normalità" e poi anche il nonno d'Italia, il quale, dopo la pennichella pomeridiana, è stato informato da qualche report dei servizi segreti che "la crisi non è ancora finita".
L'unico motivo di incoraggiamento viene, ancora una volta, dal basso. Mi piace questa nuova pratica degli operai di occupare fabbriche, arrampicarsi sulle gru o sui tetti, sequestrare i manager delle aziende per reclamare i loro diritti. E' un piccolo ma rincuorante segnale di un'italietta allo sbando (economico, culturale e morale) che credevo ormai totalmente cerebrolesa.
Il resto non mi va neanche di commentarlo, anche perchè a prendere le parti di un esponente della Chiesa Cattolica© proprio non ci riesco.