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domenica 6 giugno 2010

Testimonianze dalla Freedom Flotilla

Ieri sera al Festival Sociale delle Culture Antifasciste due mediattivisti italiani della Freedom Flotilla, Manuel Zani e Manolo Luppichini, sono intervenuti per narrare e condividere la vicenda dell'aggressione israeliana e i giorni vissuti nel, tristemente famoso, carcere di Beer Sheva.
Da ascoltare!!


1° Parte




2° Parte




Altre testimonianze.

giovedì 15 aprile 2010

Gli inquilini resistenti

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Visto che non ne parla nessuno (o quasi)...
Da nove giorni sotto la nuova sede del comune di Bologna (un palazzaccio orribile tutto vetri e acciaio) si è installato un presidio permanente degli inquilini resistenti. Ecco, gli inquilini resistenti non sono degli affittuari partigiani ma persone comuni (la maggior parte migranti) che, oltre ad essere schiacciate dai meccanismi di esclusione sociale, sono vittime dell'evanescente sistema di edilizia pubblica italiana e dell'arroganza dei proprietari di casa (troppo spesso in combutta con la rigida burocrazia statale e la crudeltà delle "forze dell'ordine"). Tutto questo si traduce in sfratti quotidiani ordinati per accontentare l'ultima voglia dello speculatore di turno. Gli inquilini resistenti, e chi solidarizza con loro, sono lì da nove giorni "per reclamare il diritto alla casa, per il blocco degli sfratti, per la requisizione delle case sfitte, per le case popolari, per la tutela degli insolventi al mutuo prima casa".
Dormono lì (in una allegra e variopinta tendopoli con tanto ironica toponomastica: vicolo degli sfratti, piazza del diritto alla casa...), organizzano assemblee, dibattiti, aperitivi, concerti, cercano di sensibilizzare le persone del quartiere su queste problematiche (imperdibili gli sguardi schifati che arrivano dal locale fighetto lì a fianco) e intanto continuano la loro lotta quotidiana sul territorio (è di oggi la notizia che sono riusciti a bloccare l'ennesimo sfratto in città).
Fino ad oggi l'amministrazione comunale (commissiariata in seguito all'affaire Delbono) tace. Il problema è che a tacere sono anche i mezzi di comunicazione: fino a qualche giorno fa nessuno quotidiano locale o telegiornale regionale aveva parlato dell'iniziativa, nonostante la tendopoli sia lievitata a vista d'occhio e sempre più persone durante la giornata sostengano la lotta degli inquilini resistenti. Poi, in seguito ad un presidio sotto la sede Rai locale, sembra che siano riusciti ad attirare un minimo di attenzione. In ogni caso il presidio è ad oltranza, sperando che il comune decida presto di intervenire concretamente per risolvere l'ormai drammatica crisi abitativa bolognese.

Info:

http://bolognaprendecasa.noblogs.org/

http://asia.rdbcub.it/

http://www.zic.it/

giovedì 11 febbraio 2010

NO VAT 2010 @ Roma

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NO VAT 2010 (come già le precedenti manifestazioni NO VAT) è una manifestazione organizzata interamente dal basso, con dinamiche orizzontali, senza padri, padrini nè maternage.


Non viene richiesta alcuna quota per aderire, ma se vogliamo continuare ad avere questa indipendenza dobbiamo contribuire anche economicamente alla costruzione di NO VAT, quindi chiunque, gruppi e/o singoli/e/*, voglia appoggiare l'indipendenza di NO VAT può fare un versamento su

C/C: 6725417 - ABI: 01030 - CAB 02800: - CIN: V
PRESSO MONTE DEI PASCHI DI SIENA AG. FIRENZE SEDE
INTESTATO A: AZIONE GAY E LESBICA Firenze
codice IBAN IT70V0103002800000006725417

Come deciso nell'assemblea nazionale di Facciamo Breccia è stato infatti aperto un sottoconto del CCB di Azione gay e Lesbica appositamente per raccogliere l'autofinanziamento di NO VAT.

Per poter verificare l'effettivo accreditamento preghiamo inoltre di inviare una mail con l'importo e il nominativo del/la versante alla mail adesioni@facciamobreccia.org

domenica 17 gennaio 2010

Attentato incendiaro contro i NO-TAV

COMUNICATO STAMPA
Movimento NO TAV Val Susa, Val Sangone, Torino e Cintura

Ieri sera, forti del clima disgustoso creato dai media, dai politici e dalle istituzioni contro il popolo NO TAV (reo di difendere la legalità e la propria terra, oltre che difendere le finanze dello Stato e dell'Europa dalle grinfie voraci di politici, affaristi & mafiosi) i "soliti ignoti" hanno incendiato il presidio NO TAV di Bruzolo.
Il pronto intervento di cittadini e vigili del fuoco hanno potuto limitare i danni che, al di là dell'odioso gesto di chi fa della violenza le sue ragioni (d'altronde non ne ha altre), restano comunque ingenti.

Adesso il presidio è stato "sequestrato" dalla magistratura per le indagini. Questo "sequestro" deve durare al massimo due o tre giorni. Il presidio deve essere immediatamente ricostruito.

Per dare una risposta FORTE ed IMMEDIATA alle MAFIE che stanno dietro a questo gesto, l'assemblea popolare tenutasi ieri sera al presidio di Susa ha fatto queste proposte:

1. Questa sera, domenica 17 gennaio, alle ore 21 ritrovo al presidio di Bruzolo con fiaccole, pile, candele, lumini e luminarie varie per una marcia contro il clima di violenza, quanto meno verbale, e di intolleranza alla dissidenza nei confronti delle ISTITUZIONI LOCALI REGOLARMENTE E DEMOCRATICAMENTE ELETTE, i COMITATI ed il MOVIMENTO NO TAV, e dei CITTADINI RESISTENTI che non accettano il pensiero unico PRO TAV del Governo, di madama Bresso e di Saitta. Questa campagna istituzionale è stata amplificata e ingigantita oltre ogni decenza da tutti i media, e questo gesto incendiario e sconsiderato è il frutto di questo clima.
Si partirà dal presidio di Bruzolo e si salirà in piazza del municipio.

2. Sabato prossimo nel pomeriggio manifestazione NO TAV e CONTRO TUTTE LE MAFIE dal presidio di Susa al municipio di Susa passando per tutti i siti dove, nel comune di Susa dovrebbero venire impiantati i cantieri delle trivelle.

Susa, 17 gennaio 2010
Movimento NO-TAV

venerdì 11 dicembre 2009

domenica 6 dicembre 2009

Chi dimentica il passato è condannato a riviverlo

Alexandros Grigoropoulos (1993-2008)

Ci sono cinque cittadini italiani tra le 162 persone che la polizia greca ha arrestato ieri, alla vigilia delle manifestazioni organizzate per il primo anniversario della morte di un ragazzo ucciso da un poliziotto ad Atene.

La morte del 15enne Alexis Grigoropoulos scateno' lo scorso inverno una guerriglia urbana mai vista nel Paese. Un gruppo di dodici sospetti militanti anarchici, tra i quali cinque italiani (quattro uomini e una donna) e tre albanesi, sono stati bloccati nella capitale greca dopo che due automobili sono state incendiate nel quartiere centrale di Exarchia, lo stesso in cui fu ucciso Grigoropoulos il 6 dicembre 2008. Altri 81 presunti militanti sono stati fermati per essere interrogati.
Altri venti sono stati arrestati in un covo di presunti anarchici a Keratsini, una citta' vicina alla capitale, dove i poliziotti hanno trovato due taniche di benzina e tredici maschere antigas, secondo le forze dell'ordine. "Le operazioni di ricerca hanno confermato le prime informazioni, che segnalavano che questo luogo era utilizzato per fabbricare esplosivi e lanciare attacchi", ha reso noto la polizia in un comunicato.
Anche altri quarantuno attivisti no-global, che avevano brevemente occupato il comune della citta', sono stati arrestati dopo che la polizia ha fatto irruzione nell'edificio.
Ad Atene, circa 6mila poliziotti sono chiamati a vigilare sulle manifestazioni previste oggi e domani, organizzate da coordinamenti studenteschi e licei, organizzazioni di sinistra e sindacati. Migliaia di persone, molte arrivate dall'estero, sono attese oggi nelle strade della capitale greca, secondo gli organi di informazione locali. La manifestazione e' prevista al termine di una cerimonia religiosa organizzata nel cimitero dove riposa Alexis Grigoropoulos a Palio Faliro, un sobborgo della capitale.
Quasi 500 persone hanno partecipato ieri sera a una prima manifestazione a Salonicco, nel nord della Grecia, secondo la polizia locale.
Ieri, i sindacati del corpo docente avevano segnalato che decine di universita' e istituti erano occupati da studenti per ricordare questo anniversario. Forze saranno dispiegate in tutte le grandi citta' e tutto il personale sara' in stato di allerta.
Il governo socialista ha inoltre chiesto ai partiti di opposizione di controllare i loro movimenti giovanili. "Io spero che la memoria di Alexis sia onorata in modo pacifico, e' il minimo che gli dobbiamo", ha dichiarato il capo dello stato, Carolos Papoulias,in un messaggio. "Non tollereremo violenze", ha chiarito da parte sua il vice primo ministro, Theodore Pangalos. In custodia cautelare, il poliziotto che fece partire i colpi che uccisero Alexis Grigoropoulos deve essere processato per omicidiovolontario dal prossimo 20 gennaio 2010.

via Informa-azione

giovedì 17 settembre 2009

Annullata la manifestazione di sabato 19

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Con una decisione incomprensibile la Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha deciso di rimandare la manifestazione prevista per sabato prossimo. La sospensione seguirebbe l'attacco a Kabul nel quale hanno perso la vita sei militari italiani. Lo annuncia La Repubblica senza fornire dettagli, che non si trovano nemmeno nella home del sito della FNSI. Chi abbia preso tale decisione e in base a quale logica non è dato saperlo.

Sospendere la manifestazione per un fatto del genere, pur luttuoso, significa negare il legame strettissimo tra la morte dei nostri soldati e la genesi della loro presenza in Afghanistan. Significa disconoscere che si trovano ancora là proprio grazie al conformismo di una stampa addomesticata che ha mancato i propri doveri di controllo e ha diffuso menzogne in serie proprio per rendere possibili le missioni in Iraq e Afghanistan. Veicolare ancora una volta, come in queste ore, la favola della missione "a portare la democrazia" significa mentire e nascondere agli italiani che le ultime elezioni sono state taroccate e che in Afghanistan la situazione è la peggiore che mai. Nonostante la situazione sia tragica non c'è traccia di dibattito sulla missione militare e questo anche grazie al sostanziale disinteresse dei media, fin troppo allineati al dispositivo bellico.

Sospendere la manifestazione significa schierarsi accanto a tutti quei politici e giornalisti che hanno mentito agli italiani e che non si sono nemmeno scusati quando le loro menzogne sono diventate autoevidenti, significa offendere ancora una volta la memoria di tutti quei militari (non solo italiani) che si trovano impantanati in una missione priva di senso e di scopi condivisibili, offrendo ancora una volta la sponda ai ridicoli guerrieri di carta al governo. Un'imbarazzante complicità travestita da lutto, sicuramente i militari italiani meritano di meglio di un gran bel funerale trasformato in occasione di propaganda governativa. Non solo i talebani hanno le mani sporche del sangue dei nostri militari.

via Mazzetta

giovedì 6 agosto 2009

(T)ec(n)ology


Bicicletta - puoi comprarla ogni giorno, puoi pagarla come preferisci, puoi comprare il modello che preferisci. Puoi entrare nelle ZTL, puoi ascoltare i suoni che ti circondano, ti permette di andare ovunque, puoi trasportarla a un prezzo modico su molti autobus e perfino su linee aeree. Non ci sono tagliandi, puoi effettuare da solo tutta la manutenzione. Non ci sono costi fissi, non ci sono bolli, non ci sono costi nascosti.

lunedì 27 luglio 2009

Genealogia della rivolta

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Se per cambiamento sociale intendiamo relazioni nuove tra le persone, e di conseguenza anche tra le persone e l'ambiente circostante, è evidente che ciò che chiamiamo lotta non contribuisce assolutamente a promuovere rapporti umani egualitari, fraterni e solidali. Di solito la parola lotta si usa per descrivere due azioni differenti tra di loro. Una ha a che fare con la lotta per la sopravvivenza, la lotta quotidiana per assicurare il sostentamento e la riproduzione della vita, lotta che nelle classi popolari richiede il massimo delle energie. Si tratta di una lotta creativa, per la vita. L'altra accezione, quella più frequente tra attivisti e militanti, rimanda alla lotta come guerra o scontro, destinata all'eliminazione di un nemico reale o inventato. La differenza è sostanziale: mentre la lotta come creazione di vita richiede uno sforzo solidale e reciproco tra gli esseri umani, la lotta come logica dello scontro presuppone la creazione di un dispositivo specializzato nella distruzione.

Questo dispositivo presenta necessariamente le caratteristiche di una macchina da guerra, il suo massimo grado di sviluppo è la burocrazia militare, ma lo ritroviamo anche nelle imprese, nella Chiesa cattolica e nell'apparato statale. Divisione di compiti tra chi comanda e chi ubbidisce, tra coloro che danno ordini e coloro che li eseguono, divisione tra la direzione e la base; istituzione di gerarchie piramidali. Sviluppo di una cultura di guerra che consiste nell'invenzione di un nemico per procedere alla sua distruzione ed eliminazione. Prima o poi questa cultura di guerra smette di essere solo una proiezione verso l'esterno e contamina anche il nostro spazio sociale scatenando la caccia alle streghe. [...]
Non è stato forse il dispositivo di lotta-guerra a essere alla base dell'ascesa del capitalismo? Se il meccanismo di lotta tra nazioni, popoli e classi ha favorito l'ascesa del capitalismo non potremo mai uscire da questo sistema adoperando gli stessi meccanismi, dato che, come lo Stato, questi dispositivi costruiscono relazioni sociali capitalistiche. Creare o mantenere il dispositivo di lotta significa rinforzare il capitalismo e lo Stato. Tutte le rivoluzioni vittoriose hanno creato Stati lì dov'erano in crisi o in decomposizione.
D'altra parte, il concetto di lotta, scontro o guerra, presuppone la polarizzazione della società, divide la società in due. Questa logica binaria incatena la molteplicità del conflitto sociale, lo congela solidificando e omogeneizzando ognuna delle parti in lotta. Possiamo chiamare tutto questo militarismo, fascismo, stalinismo o in qualunque altro modo; quel che è certo è che in un tipo di società congelata, la trasformazione sociale si consuma, diventa impossibile poiché richiede esattamente il contrario: fluidità, movimento, slittamento delle posizioni occupate dalle persone e dai diversi settori sociali.
Una delle caratteristiche della dominazione consiste nell'ancorare ogni persona e ogni collettivo a un luogo. Le caserme sono il paradigma di quella immobilità che ben presto si è trasferita nella fabbrica taylorista-fordista. Lì nulla fluisce, niente può cambiare di posto. Il “restare fermi” della maestra detto ai bambini delle scuole sintetizza questa attitudine dei dispositivi di dominio. Diciamo che il dispositivo di lotta distrugge i movimenti sociali, li sterilizza, annulla le loro capacità di movimento. Le élites lo sanno e preferiscono militarizzare le lotte sociali.
Eppure, la lotta è utile perché apre spazi sociali dove i movimenti si sviluppano e crescono, ed è necessaria per frenare le classi dominanti. In questo senso, utilizzare uno stesso termine per riferirci sia alla creazione della vita, alla difesa della vita, sia all'eliminazione di un nemico, crea confusione.
Sarebbe più giusto parlare di guerra o di logica dello scontro per quest'ultimo caso e riservarci il concetto di vita o di speranza per gli sforzi volti a creare un mondo nuovo.
Esiste infine una terza dimensione della lotta: si lotta solo per un breve periodo se per lotta intendiamo lo scontro o la resistenza fisica. Questo breve tempo, che è il tempo delle battaglie, consuma parecchie energie e richiede a sua volta molto tempo e lavoro per riparare i danni subiti, per rimettere in piedi i protagonisti dello scontro. Questo breve tempo di lotta subordina tutta la società o il settore sociale interessato e lo mette al servizio del funzionamento della macchina da guerra. Sia il tempo di preparazione della guerra sia quello dedicato a curare le ferite smettono di essere tempi di ri-produzione della vita, trasformandosi in tempi di produzione per alimentare la macchina da guerra. Insomma la vita si aliena nella distruzione della vita.

Raul Zibechi, Genealogia della rivolta. Argentina. La società in movimento, Luca Sossella Editore, 2003

Cliccando sul titolo del libro troverete il testo completo da scaricare, messo a disposizione dall'editore stesso.

giovedì 9 luglio 2009

Ce vole n aut aut mò

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Una non-notizia. Sono capitato per caso su Indymedia Roma e sono subito stato attratto da una news che recita: VERGOGNOSI DISOBBA.
Si parla di uno scazzo avvenuto fuori dalla Sapienza tra una ragazza ("autonoma") armata di bomboletta e alcuni disobbedienti facenti parte della Rete dell' autoformazione. Lei voleva scrivere sul muro "meno disobbedienza, più violenza". Loro l'hanno malmenata.

Da sganasciarsi questo commento, da leggere in romanesco puro:
cmq mi pare che se stiano ad allargà un pò troppo eh,mò oltre ad essè inavvicinabili e a sentirsi i padroni dell'università,se permettono persino de menà ragazze e sottolineo ragazze non d'accordo colloro.Tocca daje n aut aut alla svelta che stanno a diventà troppo arroganti.
E sono anche d'accordo.

martedì 7 luglio 2009

La colazione dei campioni

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Ci siamo quasi. Tutto è ormai pronto. Mr. B. qualche giorno fa ha messo alla prova i suoi poteri occulti scatenando un terremoto quasi potente come quello che ha distrutto la cittadina abruzzese. Solo che l'epicentro era a un chilometro dalla caserma della G.d.F. che ospiterà gli 8 big. Ma era solo una prova.
Per curiosità ho letto il programma del vertice che si svolgerà dall'8 al 10 luglio.
Lo trovate qui.

La prima cosa che balza all'occhio è la colazione di lavoro che si svolgerà il primo giorno dalle 13 alle 15.
Belin che colazione!! Fanno le ore piccole i mitici 8! E poi in due ore di colazione quanto cibo puoi ingurgitare? Ma forse tutto si spiega leggendo le parole magiche in parentesi che specificano "economia mondiale". Tra un cappuccino, una birra, una brioche e del cinghiale locale, i capi di stato parleranno di economia mondiale. Ok. Spero solo che il traduttore che seguirà Mr. B. non traduca davvero tutto quello che lui dice.
Segue alle 15.30 una sessione di lavoro, tra virgolette, di un paio d'ore. L'oggetto della conferenza sono i temi globali. Globali. Riguardano tutti, tutto il mondo. Due ore direi che possono bastare. Lo stesso tempo dedicato alla colazione.
Poi ci sarà un'eventuale conferenza stampa. Vediamo. Si farà solo se i capetti non saranno troppo stanchi dopo una giornata così stressante.
Ma finalmente la sera si avvicina e arriva l'ora del pranzo di lavoro. Ahahhahh!! Mi viene da ridere!! Pranzo di lavoro! Sì ma non si scherza qui. Si parlerà di temi politici internazionali. Mica cazzi!
Cosa dirà il nostro Presidente? E' a conoscenza di ciò che accade nel resto del mondo e non solo nei paradisi fiscali? Noi già partiamo male con tutte le figuracce accumulate in questi anni.
Il resto del programma leggetevelo voi se ne avete voglia.
Tanto c'è poco da sapere. Ci saranno banchetti, formalità, strette di mano, sorrisi, fotografie, poche parole e all'esterno scontri, pestaggi, arresti. Gli arresti, tra le altre cose, ci sono già stati oggi, ancor prima dell'apertura delle danze.
Tutto è sotto controllo. Un aereo senza pilota sorvolerà il cielo per fotografare la città. Gli aerei della marina militare sono già pronti a intervenire in caso di necessità. L'autostrada è super controllata e cecchini saranno appostati sui tetti. E addirittura i desueti carabinieri a cavallo pattuglieranno le alture circostanti.

L'Aquila, città distrutta dentro e fuori non trarrà alcun beneficio da questo summit, la gente rimarrà nelle proprie tende, come sempre, a soffrire il caldo tropicale, a subire il controllo ferreo delle forze dell'ordine e continuerà a sperare in un ritorno nelle proprie case.

Confidiamo in un terremoto chirurgico: Viale Delle Fiamme Gialle, 67100 Coppito (AQ)‎.

lunedì 15 giugno 2009

Dichiarazione delle donne indigene del Perù

Dichiarazione delle Donne Indigene del Perù


Lima, 05 giugno 2009

da generoconclase

traduzione a cura di Mujeres Libres blog

Le donne indigene, organizzate nell'Officina Permanente delle Donne indigene Andine ed Amazzoniche del Perù, si trovano nel dolore per la morte dei loro fratelli e sorelle indigene e, a fronte dei fatti accaduti a Bagua - Amazzonia, dichiarano che gli atti di violenza deplorevoli si sarebbero potuti evitare col dialogo e col rispetto dei diritti umani.

Sollecitano inoltre la comunità internazionale, il Rappresentante Speciale per i paesi indigeni e per la difesa del paese alle Nazioni Unite, l'intervento immediato per il rispetto dei diritti umani.

Nello stesso modo sollecitano al settore salute, l'attenzione necessaria ed immediata ai feriti nella zona.

Infine, esortano i mezzi di comunicazione a diffondere informazione veritiera e non parziale dato che i paesi indigeni non possono contare su spazi pubblici per esprimere liberamente opinioni e giuste dichiarazioni sugli eventi.

1.Federación Agraria del Departamento de Ayacucho - FADA
2. Federación Departamental de Clubes de Madres de Ayacucho - FEDECMA:
- FECMA Vilcas
- FECMA Huamanga
- FECMA Fajardo
- FECMA Huancasancos
- FECMA Huanta
3. Federación de Mujeres Indígenas de La Mar - FEMUI LA MAR
4. Federación de Mujeres de Lucanas - FEMU LUCANAS
5. Federación de Rondas Campesinas Femeninas de la Región
Nor Oriental del Marañón del Perú
6. Federación de Comunidades Nativas Campa Asháninka -FECONACA
7. Central de Comunidades Nativas de Selva Central - CECONSEC
8. Confederación Campesina del Perú - CCP (Nacional)
9. Central de la Organización de Mujeres de Ilave - COMI (Puno)
10. Asociación Departamental de Mujeres Campesinas de Puno - ADEMUC
11. Asociación de Mujeres de la Provincia de Ayaviri Melgar - AMUAME
12. Asociación Multisectorial de Artesanas - CAMACANI
13. Asociación de Migrantes Quechua Jatary Ayllu, Zonal Valle del
Mantaro (Quechua de Huancayo)
14. Federación de Mujeres Campesinas de Anta - FEMCA (Quechua del Cusco)
15. Federacion Agraria Revolucionaria Túpac Amaru del Cusco - FARTAC
16. Consejo Aguaruna y Huambisa (Amazonas)
17. Federación Aguaruna Domingusa - FAD (Amazonas)
18. Federación de comunidades Nativas del Río Nieva - FECONARI
19. Federación de Comunidades Cacataibos - FENACOCA
20. Federación de Comunidades Nativas Cocama - FENACU
21. Asociación Indígena para el Desarrollo de Nuestros Pueblos - UCSICEP
22. Coordinadora Nacional de Desplazados de Comunidades en
Reconstrucción del Perú - CONDECOREP
23. Asociación de Mujeres Campesinas de la Cuenca de Vilca - ASMUC
24. Organización Indígena Regional de Atalaya - OIRA
25. Federación de Mujeres Shaui de Alto Amazonas Loreto - FEDEMUSHAAL
26. Federación Nativa del Río Madre de Dios y Afluentes - FENAMAD
27. Chirapaq, Centro de Culturas Indígenas
28. Red de Jóvenes Ñoqanchiq
29. Red de Comunicadores Quechuas de Ayacucho

domenica 14 giugno 2009

Il massacro degli indigeni peruviani

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Giovedì 9 aprile 2009 i dirigenti di 1350 comunità amazzoniche dichiararono l’inizio di un blocco indefinito in tutta l’Amazzonia peruviana, come forma di protesta contro la politica neoliberalista del governo e in particolare contro una serie di decreti legislativi emanati dal governo aprista di Alan Garcia Perez, volti a favorire l’investimento privato nella foresta amazzonica, in particolare quelli di imprese petrolifere e di biocombustibili. Tali decreti legislativi attentano ai diritti riconosciuti ufficialmente ai popoli indigeni e si impongono sulla volontá di questi, senza minimamente consultarli. Nel 2008 contro questi stessi decreti le popolazioni indigene dell’Amazzonia peruviana diedero vita a una protesta nazionale per piú di un mese, bloccando le vie di accesso alla foresta amazzonica e i principali interessi economici della regione (pozzi e pompe petroliferi, gasdotti, centrali idroelettriche). Tale protesta fu sospesa per l’impegno del governo di derogare i decreto. Nonostante ció, i decreti non furono derogati e lo Stato continuó la sua politica di favorire l’estrazione, concendendo diritti a multinazionali anche nelle terre titolate alle popolazioni indigene. Cosí le differenti organizzazioni indigene dell’Amazzonia peruviana, riunite a livello nazionale nell’associazione AIDESEP (Asociación Iteretnica de Desarrollo de la Selva Peruana) ricominciarono la loro protesta determinata e pacifica, con la stessa strategia: paralizzare le attivitá economiche delle imprese presenti nella regione, occupando punti strategici e bloccando le vie di comunicazione.
Il blocco è andato avanti in modo forte e compatto in quasi tutta l’Amazzonia peruviana, le differenti etnie hanno dimostrato una forte unione e solidarietá. Il governo ha reagito in varie occasioni con l’indifferenza, la repressione e la criminalizzazione, utilizzando da una parte i suoi apparati di morte (militari e polizia) e dall’altra i suoi fedeli servi professionisti nel distorcere l’informazione e occultare la veritá (televisioni e giornali), tutto questo in difesa dei soliti interessi economici che si impongono in tutto il mondo sulla vita della gente. Cosí ogni possibilità di dialogo è stata vana e, dopo aver accusato il rappresentante di AIDESEP di sedizione e terrorismo, è scattata una sanguinaria repressione.
Il 5 giugno 2009, dopo due mesi di lotta e resistenza indigena, lo Stato decide il massacro: si bombardano i villaggi, si spara contro uomini, donne e bambini. La gente che si era dichiarata disposta a morire per difendere le sue terre, la sua cultura, la sua vita, resiste a testa alta. Il risultato dell’azione dello Stato è un bagno di sangue, solo il primo giorno si contano 30 vittime e oltre 100 feriti, un numero che potrebbe essere molto maggiore se si considera che i militari stanno bruciando i corpi delle vittime affinché non si possano contare i morti e che i mezzi di comunicazione non hanno accesso alle zone di conflitto. Le popolazioni indigene non cederanno all’offensiva assassina dello Stato. La solidarietá e forte in tutta la regione e si allarga ad altri settori della societá: contadini non indigeni, lavoratori delle cittá amazzoniche, organizzazioni locali, missionari.

Perché lottano i popoli indigeni?


I popoli indigeni e i loro territori si appartengono reciprocamente, sono inseparabili. Per gli indigeni il territorio è l’embrione che diede inizio alla loro esistenza. La relazione dell’indigeno con il suo territorio è vitale, infatti questo gli fornisce alimentazione, casa e in quello gli si permette di riprodurre la sua cultura. Senza territorio non c’è vita.
Per la societá occidentale, la terra gli appartiene quando dispone di un titolo di proprietá, per gli indigeni il proprietario è “la madre della terra”. Gli andini la riconoscono come la Pachamama, gli Shuar come Nugkui, gli Ashanika come Kipatsi, e cosí ogni popolo.
Per il mercato la terra acquisisce importanza monetaria ed è negoziabile, per gli indigeni ha importanza spirituale ed è sacra. Nella cosmovisione amazzonica non è esatto il termine “terra” ma quello di “territorio”, con un concetto più ampio di intergrità come bene collettivo in interdipendenza con la natura,
Molti popoli amazzonici hanno basato la loro alimentazione sulla raccolta e il nomadismo e non sull’accumulazione di ricchezze. La tendenza attuale a promuovere la monocoltivazione in aree estense genera una maggiore fragilità dei suoli, cosí come le attività estrattive di acque, petrolio e gas, con un catastrofico impatto ambientale.
Attualmente l’Amazzonia peruviana ha 49 milioni di ettari di terra in concessione all’esplorazione e allo sfruttamaento di idrocarburi, corrispondenti al 72% di questo territorio.

I decreti in questione

I decreti legislativi si impongono nell’ambito del Trattato di Libero Commercio firmato con gli Stati Uniti, trascurando le leggi internazionali che il Perú ha sottoscritto che stabiliscono il rispetto dei diritti indigeni e il loro diritto a essere interpellati per questioni che li riguardano, sanciti in particolare dall’Accordo 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro firmato nel 1989 (Nazioni Unite).

Decreto 994: promuove investimenti privati in progetti di irrigazione per l’ampliamento della frontiera agricola. Considera di proprietá dello Stato tutte le terre irrigate di uso agricolo. Nell’Amazzonia le terre lungo i fiumi servono da fonte di sussistenza per le comunità, mentre lo Stato le considera terre improduttive da sfruttare.

Decreto 1020: Promuove i prodotti agrari e la consolidazione della proprietá rurale per il credito. Stabilisce un marco normativo per ampliare l’accesso al credito agrario e incentivare la competizione e la modernizzazione. Favorisce la formazione di proprietà individuale, la parcellizazione e la disintegrazione della proprietá comunale.

Decreto 1064: Stabilisce un regime giuridico per lo sfruttamento di terre di uso agrario. Elimina il diritto che stabilisce come necessaria la negoziazione con la comunità, affinché si realizzino attivita minerarie o idrocarburifere in territorio comunale senza il consenso della comunità.

Decreto 1081: Crea un sistema nazionale di gestione delle risorse idriche e rappresenta un passo avanti verso la privatizzazione dell’acqua, risorsa fondamentale per la vita dell’Amazzonia. Si impone contro i diritti ancestrali delle comunitá suil territorio e contro le convenzioni internazionali.

Decreto 1089: Cambia la normativa per la formalizzazione e la titolazione di terre rurali, favorendo la proprietà individuale rispetto a quella comunale, favorendo il loro inserimento nel mercato economico.

Decreto 1090: È forse il più grave fra tutti i decreti. Approva la Legge Forestale e della Fauna Silvestre. Pretende di modificare la legislazione forestale, privando della definizione di “patrimonio forestale” circa 45 milioni di ettari di terra, o sia il 60% delle terre dell’Amazzonia peruviana. In questo modo è possibile sfruttare terre che prima erano in un certo modo protette. Dietro a tale decreto ci sono gli accordi del governo con gli imprenditori che vogliono investire nella produzione di etanolo e biocombustibili vari. Non sono solo i mezzi di vita dei popoli indigeni quelli che stanno in gioco. La produzione di agro-biocombustibili ha favorito una concentrazione di ricchezza e proprietà senza precedenti, affidando la terra alle mani di poche imprese multinazionali che controllano i semi, la coltivazione di viveri, gli agrochimici, il processamento, il commercio le esportazioni e la distribuzione. I piccoli produttori sono privati di terre di alimenti, di sussistenza e di mercato, mentre i suoli, i boschi, i corsi d’acqua e gli ecosistemi sono saccheggiati e devastati.

Decreto 1083: Promuove lo “sfruttamento efficente” e la “conservazione” delle risorse idriche da parte degli usuari che hanno maggiori risorse economiche emaggior accesso alle moderne tecnologie di uso dell’acqua, concedendo premi di diritto all’acque in base a un regime differenziato di redistribuzione economica.
fonte America Latina - Altri occhi e parole

addendum: Dai dati del Sipri risulta che l'Italia è stato il principale venditore di armi all'esercito del Perù (per 172 milioni di dollari, nell'anno fiscale 2007-8).

mercoledì 3 giugno 2009

La bici va in città



La vita del ciclista di città è sempre messa a dura prova da ostacoli architettonici e dal traffico urbano. Neanche a Parigi, città attrezzata di numerose piste ciclabili, le cose vanno meglio. Come potete vedere dal video, oltre ad essere costretti a circolare in una corsia larga meno di un metro, i ciclisti sono spesso vittime dell'inciviltà di molti automobilisti.
Il video è stato girato dall'associazione parigina Villavélo, nata all'inizio del nuovo millennio per esaltare i pregi del mezzo ideale per girare in città, la bicicletta, soprattutto nell'epoca di riscaldamento globale in cui ci troviamo a vivere.
Sul loro sito si legge: la bicicletta non è nè ingombrante, nè rumorosa e rispetta l'ambiente. Si tratta di un ottimo esercizio fisico ed è uno strumento di libertà.
Il loro lavoro è nato da un gruppo di genitori che dopo aver sperimentato la bicicletta autobus, una nuova e intelligente pratica per accompagnare i figli a scuola, si sono resi conto dei vantaggi di questo mezzo di trasporto ma anche dei limiti allo sviluppo del suo uso nelle aree urbane.
L'associazione si occupa di fornire consulenze per una guida sicura, di educare i bambini, di promuovere riforme legislative in questo ambito. Inoltre organizzano attività ludiche come biciclettate sulla Marna, pic-nic, mercatini, vélo-parade..
Nonostante gli evidenti pericoli relativi all'uso della bici in città, non posso fare altro che consigliare a tutti di convertirvi alle due ruote. Allora smettetela di fare spinning in palestra e di usare le macchina per fare 500 metri e prendete la bicicletta: se non altro creerete meno ingorghi.

martedì 12 maggio 2009

Presidio contro il Cie - Bologna

PESTAGGI NEL CIE DI VIA MATTEI…

…IL SILENZIO E’ COMPLICITA’!

Lunedì 4 maggio verso le 14.00 Raya, una delle ragazze migranti rinchiuse
nel CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione ex CPT) di via Mattei a Bologna, viene picchiata da un poliziotto in abiti civili. Viene picchiata perché si intrufola in infermeria. Viene picchiata a mani nude, sviene ed è lasciata sul pavimento. Viene picchiata sotto gli occhi indifferenti degli operatori della Misericordia (l’ente che gestisce il CIE) che non intervengono in nessun modo.
Al telefono voci spaventate e rabbiose ci parlano di vestiti strappati, di
continui insulti e sberloni anche nei giorni successivi. Un ragazzo si fa male ad un ginocchio, eppure in infermeria non gli danno nessun medicinale nonostante le sue pressanti richieste. Ci chiama e chiede di mandare un medico insieme all’avvocato. "Qui non ci curano! Ci trattano come animali!"
Nessuno si lascia intimorire troppo dalla situazione e l’avvocato di Raya, giovedì 8 maggio presenta una querela contro ignoti per il pestaggio subito dalla donna - "Aveva abrasioni su uno zigomo, in fronte e in altre parti del "corpo" .

Al telefono Raya ed altri suoi compagni ci raccontano di botte alle gambe
e di continui insulti.
Chiedono anche di contattare i media. Ovviamente pochi danno credito
alla notizia che gira più che altro attraverso volantinaggi itineranti con megafono e striscione "No ai lager della democrazia" durante tutta la giornata di mercoledì 6 maggio in diverse zone della città.
I giornali riportano la notizia che, la sera alcuni ignoti bloccano via Massarenti con dei cassonetti incendiati nei pressi viene trovato uno striscione sul pestaggio di lunedì. Stando al Carlino la strada rimarrà chiusa per 3 ore.
La sera di venerdì 8 maggio un gruppo di solidali dei reclusi si reca
sotto al CIE per portare un saluto ai migranti e per rallegrare con qualche fuoco d’artificio una notte buia dietro a ingiuste sbarre. Condividere il desiderio di libertà con qualcuno e gridarlo purtroppo non basta per realizzarlo. Non vogliamo limitarci a denunciare tristi episodi interni a questi lager, vogliamo lottare contro la loro esistenza e per fare questo riteniamo importante continuare a mantenere un contatto umano con i migranti reclusi, un contatto che spezzi almeno in parte l’isolamento che ci divide e che rinchiude la loro libertà.

Per questo lanciamo un PRESIDIO GIOVEDI’ 14 MAGGIO

• SOTTO LE DUE TORRI DALLE ORE 16:00

• SOTTO IL C.I.E. DI VIA MATTEI (BUS 14 A, 89) DALLE ORE 18:30

Nei mesi scorsi i migranti reclusi hanno intrapreso lotte condivise in
diversi CIE d’Italia. Ancora oggi, dopo il suicidio di una donna nel CIE di Roma, i reclusi hanno fatto partire un nuovo sciopero della fame. I loro aguzzini, tuttavia, camminano anche in mezzo a noi una volta finito il loro turno, e li troviamo anche presso tutti quegli enti che si occupano di collaborare alla gestione della struttura: gli operatori della Misericordia (ente gestore), della Concerta (ditta appaltatrice del servizio mensa), poliziotti e militari sono vergognosamente complici e responsabili dell’esistenza del lager di via Mattei e di ciò che al suo interno accade.

Continuiamo a far sentire agli aguzzini del CIE il nostro disgusto e il
nostro disprezzo.
CHE QUESTI CONTINUI ABUSI NON PASSINO SOTTO SILENZIO NELL’INDIFFERENZA DI TUTTI!

Intasiamo il centralino del CIE: 051 6027521

Blocchiamo il loro fax: 051 531344

Per informazioni

scheggia@canaglie.net scheggia.noblogs.org

Complici e solidali dei reclusi

giovedì 2 aprile 2009

G-morto

Photobucket

Questi summit del cazzo continuano ad avere effetti collaterali a dir poco imbarazzanti...

E intanto noi permettiamo che i peggiori neonazisti d'Europa si diano appuntamento nel centro di Milano...

¡No pasarán!

giovedì 26 marzo 2009

Tiqqun - Appello (e non solo...)

Durante l'interessante incontro di ieri sera, l'autore del libro Vivere senza padroni, Stefano Boni, ha citato e consigliato un pamphlet (Appello) del collettivo parigino Tiqqun, nato nel 1999 da e con l'omonima rivista filosofica e il cui scopo generale è quello di "ricreare le condizioni per una comunità altra".

Influenzati, tra gli altri, dal pensiero situazionista e dall'opera di Agamben, quelli di Tiqqun si contraddistinguono per una critica libertaria e disincantata sia delle attuali condizioni di vita dell'uomo all'interno delle società occidentali(zzate) che delle vecchie/nuove forme di potere ora dominanti. In tal senso recuperano, nei due numeri della rivista da loro pubblicata, da un lato l'analisi di Debord, la sua nozione di spettacolo e la vasta critica situazionista della vita quotidiana, dall'altro il concetto foucaultiano di biopotere, incrociandoli in proposte sicuramente estreme e non convenzionali ma cariche di una lucidità del tutto peculiare ed efficace in un periodo di aridità intellettuale come quello che stiamo vivendo.

Proprio l'aridità desertica sembra essere il punto di partenza dell'Appello in questione, che inizia con queste parole:

Non manca nulla al trionfo della civiltà.
Non il terrore politico e neppure la miseria affettiva.
Non la sterilità universale.
Il deserto non può più estendersi: è ovunque.
Ma può ancora diventare più profondo.
Di fronte all'evidenza della catastrofe c'è chi si indigna e chi
ne prende atto, chi denuncia e chi si organizza.
Noi siamo dalla parte di chi si organizza.


Tiqqun - Appello Tiqqun - Appello

Purtroppo, uno dei fondatori del collettivo, tale Julien Coupat, è stato recentemente coinvolto in una brutta storia di persecuzione poliziesca, della quale avevamo parlato qui e qui, che ha visto la mobilitazione di diversi intellettuali, francesi e non.

Fedeli alla tradizione situazionista, i loro materiali sono totalmente svincolati dalle catene mercantili del copyright.
Siete dunque caldamente invitati a scaricarli, riprodurli e diffonderli.

Qua c'è tutta la bibliografia che sono riuscito a trovare on-line:

* Tiqqun n.1 - Exercices de Metaphysique Critique (primo numero della rivista, 1999 - in francese).

* Tiqqun n.2 - Zone d'opacité offensive (secondo numero della rivista, 2001 - in francese).


* Tiqqun - Introduzione alla guerra civile (traduzione di Introduction à la guerre civile, tratto dal secondo numero della rivista). Parte prima La guerra civile, le forme di vita.

*
Tiqqun - Introduzione alla guerra civile (traduzione di Introduction à la guerre civile, tratto dal secondo numero della rivista). Parte seconda L'impero, il cittadino.

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Tiqqun - Ecografia di una potenzialità (traduzione di Echographie d'une puissance, tratto dal secondo numero della rivista).

*
Tiqqun - La comunità terribile. Della miseria dell'ambiente sovversivo (traduzione di Thèses sur la communautè terrible, Comment faire? e Ceci n'est pas un programme, tratti dal secondo numero della rivista).

Buona lettura!

domenica 22 marzo 2009

Un esempio di resistenza

Nelle prigioni di questo pianeta, in tutte le varietà che presenta questa ignominia, il potere esercita ogni giorno la stessa pratica: trasformare uomini e donne in piccole unità di sopravvivenza, impotenti e tristi. In fondo alle galere di certe dittature, per esempio, i prigionieri sono lasciati senz'acqua e cibo per vari giorni. Quando la situazione è giunta al limite, si dà loro una razione tanto scarsa da costringerli a battersi con il compagno di cella per mangiare. In questo modo, si formano spesso mafie interne e i più forti decidono la sorte dei più deboli. I metodi possono variare, essere più o meno brutali, ma il funzionamento rimane identico.
I classici del pensiero politico borghese considerano questa situazione uno stato "naturale" dell'umanità: l'uomo è lupo per l'uomo, in un ambiente naturale limitato prevale la guerra di tutti contro tutti, anche nel caso di quella guerra "sublimata" che è il mercato. Con simili ragionamenti si è giunti fino a spiegare il progresso. Per questo la borghesia non è mai stata in grado di liberarsi dal darwinismo sociale e, in ultima istanza, da quel fantasma che la segue come la sua ombra e che essa non smette mai di esorcizzare con discorsi sui diritti dell'uomo: il nazismo.
L'analogia con il carcere, però, può indurci in errore e farci credere che eliminando gli amministratori e le guardie del mondo la faremo finita con l'oppressione una volta per sempre. Il guaio è che non c'è un'uscita di sicurezza dal pianeta e nessun Settimo cavalleggeri intergalattico verrà a salvarci alla fine del film. Il nostro carcere, il nostro campo di concentramento è la banalità quotidiana.
I detenuti in certe prigioni considerano spesso la propria situazione come una realtà qui e ora e non come una fase passeggera che finirà il giorno in cui potranno finalmente uscire "in libertà". Qui e ora bisogna resistere, si dicono, al sistema di oppressione degli amministratori e delle guardie. In questo caso la resistenza significa la costruzione di una rete di condivisione e di solidarietà dentro la prigione, una specie di comunismo applicato al qui e ora, capace di far fronte alla serialità che i carcerieri vogliono imporre.
In certe prigioni latinoamericane, per esempio, i prigionieri comuni riproducevano all'interno la divisione tra delinquenti e mafie che si contendevano magri beni e privilegi. Quando arrivavano prigionieri politici spesso la situazione cambiava radicalmente. Si spartivano le poche cose, si organizzavano attività creative, rappresentazioni teatrali, gruppi di riflessione, si eleggevano delegati e si riusciva perfino a limitare la brutalità delle guardie. Le dittature capirono in fretta la logica di questo fenomeno e decisero di dividere detenuti comuni e detenuti politici.
Che cosa avveniva in quelle situazioni? I prigionieri politici non promettevano ai detenuti comuni piani infallibili di evasione e nessun altro sistema per liberarsi. [...] Si limitavano a invitare tutti a fare qualcosa per cambiare la vita, qui e ora, e a resistere così al potere carcerario. [...] la speranza di sfuggire a questo mondo forse non è che un desiderio indissolubilmente legato alla condizione umana. Le religioni se ne sono alimentate per secoli e, chissà, lo stesso hanno fatto gli ideali rivoluzionari. Ma presentare questo mondo, questa situazione, come un momento provvisorio, in attesa del giudizio finale o dell'ondata rivoluzionaria, è stata in ogni epoca la strategia degli oppressori di ogni e qualsiasi tendenza. La "speranza", in questo senso, può essere profondamente reazionaria.


M. Benasayag
- D. Scavino, Per una nuova radicalità, Il Saggiatore

venerdì 20 marzo 2009

Dall'alto di un bracciolo del divano...


Quel puffo sciccoso di Brunetta è tornato ad esternare.

Memore dell'utilità dei berlusconiani cuscini, il nostro mini-stro, per sentirsi all'altezza della situazione, si è accomodato sul bracciolo del divano di casa sua e coccolato dalla morbidezza della sua sciarpina di cashmere si è messo a giudicare il popolo-bove che, incazzato, è sceso in strada a reclamare i propri diritti.
Con la modestia tipica di un "quasi premio Nobel" ha definito gli studenti manifestanti: guerriglieri, ragazzotti in cerca di sensazioni, gente che non ha seguito nelle università e della quale non si conosce la piattaforma (??).


Chiusi ad ammuffire nei loro palazzi, nelle loro macchine e protetti in strada da buttafuori lampadati, g
li odierni burocrati non hanno solo perso il contatto con la realtà ma addirittura la confondono con qualcos'altro.

Hanno svuotato le strade, le piazze, le città, per riempirle di cittadini ignoranti e impauriti pronti a bastonare gli "altri" e i "diversi".
Schifano e remprimono qualsiasi forma di dissenso tacciandola di inciviltà e terrorismo.
Istituzionalizzano quello che altro non è che un loro sogno ricorrente: lo sciopero virtuale.


E fanno tutto questo in nome della democrazia.
La loro democrazia.
Questa democrazia:

domenica 15 marzo 2009

Bologna prende casa