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lunedì 4 gennaio 2010

The show must go on

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1. L'intera vita delle società, in cui dominano le moderne condizioni di produzione, si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione.

[...]

4. Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini.

Guy Debord, La società dello spettacolo

domenica 26 luglio 2009

Il denaro del servizio pubblico non deve più essere al servizio del denaro

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L'educazione appartiene alla creazione dell'uomo, non alla produzione di merci. Avremmo dunque revocato l'assurdo dispotismo degli dei per tollerare il fatalismo di un'economia che corrompe e degrada la vita sul pianeta e nella nostra esistenza quotidiana?
La sola arma di cui disponiamo è la volontà di vivere, alleata alla coscienza che la propaga. A giudicare dalla capacità dell'uomo a sovvertire ciò che lo uccide, può essere un'arma assoluta.
[...]
O entrerete come clienti nel mercato europeo del sapere lucrativo - cioè come schiavi di una burocrazia parassitaria, condannata a crollare sotto il peso crescente della sua inutilità -, o vi batterete per la vostra autonomia, getterete le basi per una scuola ed una società nuove, e recupererete, per investirlo nella qualità della vita, il denaro dilapidato ogni giorno nella corruzione ordinaria delle operazioni finanziarie.
[...]
Il denaro rubato alla vita è messo al servizio del denaro. Tale è la realtà nascosta dall'ombra assurda e minacciosa delle grandi istituzioni economiche: Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, Organizzazione di cooperazione e di sviluppo economico, Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio, Commissione europea, Banca di Francia, eccetera. Il loro sostegno alle fondazioni e ai centri di ricerca universitaria richiede in cambio che sia propagato il vangelo del profitto, facilmente trasfigurato in verità universale dalla venialità della stampa, della radio, della televisione.
[...]
Tassare le grandi fortune (l'1% dei francesi possiede il 25% della ricchezza nazionale e il 10% ne detiene il 55%), tassare gli introiti incassati dagli uomini d'affari, denunciare lo scandalo delle spese di rappresentanza, colpire con pesanti multe i gestori della corruzione, bloccare gli averi della frode internazionale indicando a sufficienza, su una carta leggibile da tutti, gli accessi al tesoro che i cittadini alimentano e di cui sono sistematicamente spogliati. Non è meno vero che la pista si confonderà sotto l'effetto devastante della rassegnazione se il denaro non sarà recuperato per essere investito nel solo campo che sia veramente di interesse generale: la qualità della vita quotidiana e del suo ambiente.
[...]
L'insegnamento si trova nello stato di quegli alloggi non occupati che i proprietari preferiscono abbandonare al degrado perché lo spazio vuoto è redditizio mentre accogliervi degli uomini, delle donne, dei bambini, spogliati del loro diritto all'habitat, non lo è.
[...]
Tuttavia, requisire un edificio per trovare un riparo alla miseria - voglio dire installarvisi passivamente perché ci si sta al caldo - non sfugge in ultima istanza al piano di distruzione dei beni utili al quale conducono l'inflazione dei settori parassitari e la burocrazia proliferante da lei generata.
Ciò di cui vi impadronirete vi apparterrà veramente soltanto se lo renderete migliore; nel senso stesso in cui vivere significa vivere meglio. Occupate dunque gli edifici scolastici anziché lasciarvi possedere dal loro sfacelo programmato. Abbelliteli secondo il vostro gusto, ché la bellezza incita alla creazione e all'amore, mentre la bruttezza attira l'odio e l'annientamento. Trasformateli in ateliers creativi, in centri di incontro, in parchi dell'intelligenza attraente. Che le scuole siano i frutteti di un gaio sapere, come gli orti che i disoccupati e i più deboli non hanno ancora avuto l'immaginazione di piantare nelle grandi città sfondando il bitume e il cemento.
[...]
Noi siamo nati, diceva Shakespeare, per camminare sulla testa dei re. I re e i loro eserciti di boia sono ormai polvere. Imparate a camminare soli e sfiorerete coi piedi quelli che, nel loro mondo che muore, non hanno che l'ambizione di morire con lui.
Sta alle collettività di allievi e professori il compito di strappare la scuola alla glaciazione del profitto e renderla alla semplice generosità dell'umano. Perché bisognerà presto o tardi che la qualità della vita trovi accesso alla sovranità che un'economia ridotta a vendere e a valorizzare il suo fallimento le nega.
Dal momento in cui voi formulerete il progetto di un insegnamento fondato su un patto naturale con la vita, non dovrete più mendicare il denaro di quelli che vi sfruttano e vi disprezzano approfittando di voi. Quel denaro lo esigerete perché saprete come e perché impadronirvene.
Si è al di sotto di ogni speranza di vita finché si resta al di qua delle proprie capacità.

20 febbraio 1995

domenica 5 luglio 2009

Sull'aiuto indispensabile al rifiuto dell'assistenza permanente

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Il cammino dell'autonomia è simile a quello del bambino che impara a camminare.
Non ci si riesce senza lacrime e sforzi. Il rischio di cadere, di farsi male, di soffrire aggiunge ai primi passi l'ostacolo della paura. Tuttavia il soccorso di un affetto che incoraggia a rialzarsi, a ricominciare, ad ostinarsi, a coordinare i gesti dimostra che la padronanza dei movimenti si acquisisce meglio e più presto che nelle condizioni di un tempo in cui si trattava di progredire non solo sotto i fuochi incrociati della vanità beffarda, della minaccia diffusa, dell'angoscia di non essere più amati se non ci si applica, ma soprattutto attraverso un malessere, discretamente nutrito dall'ambiguità dei genitori desiderosi e nello stesso tempo timorosi che il loro bambino faccia i suoi primi passi verso un'autonomia che lo sottrarrebbe alla loro autorità tutelare e toglierebbe loro la sensazione di essere indispensabili.
[...]
La rottura è brutale all'ingresso nelle superiori. Si regredisce nella famiglia arcaica dove il fanciullo imparava a cavarsela da solo unicamente firmando un atto di una riconoscenza eterna a coloro che avevano assicurato il suo ammaestramento. La fiducia in sé, minata e compensata con l'insolenza, ricompone la ripugnante mescolanza di superbia e servilità che formava, nel passato, la norma del comportamento sociale.
Al desiderio sincero di fare dell'adolescente un essere umano a tutti gli effetti si sovrappone in un evitabile malessere l'esercizio di un potere al quale la struttura gerarchica costringe l'insegnante. Come potrebbe non vincere la tentazione di rendersi indispensabile e di coltivare nello studente una debolezza che ne rende più facile il dominio? Chi vende stampelle ha bisogno di zoppi.
Usciamo appena e con pena da una società in cui, non avendo mai potuto credere in se stessi, gli individui hanno accordato la loro credenza a tutti i poteri che li storpiavano facendoli marciare. Dio, chiese, Stato, patria, partito, leaders e piccoli padri dei popoli, tutto è stato ragionevole pretesto per non dover vivere da se stessi. Questi bambini che un tempo rialzavamo per farli cadere, è tempo di insegnar loro a imparare da soli.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

sabato 6 giugno 2009

Imparare l'autonomia, non la dipendenza

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La scuola ha promulgato per secoli il sequestro del fanciullo da parte della famiglia autoritaria e patriarcale. Ora che si abbozza tra i genitori e la loro progenie una comprensione reciproca fatta di affetto e di autonomia progressiva, sarebbe un peccato che la scuola cessasse di ispirarsi alla comunità familiare.
[...]
La famiglia tradizionale preferiva fabbricare dei bambini in serie piuttosto che offrire la vita a due o tre piccoli esseri ai quali avrebbe dedicato senza riserve amore e attenzione. Quelli che non morivano in tenera età serbavano nel cuore il più delle volte una ferita segreta. La tirannia, il senso di colpa, il ricatto affettivo generarono in tal modo generazioni di spacconi che nascondevano sotto la durezza del carattere un infantilismo che imponeva loro di cercare un sostituto del padre e della madre in quelle famiglie a prestito che erano le chiese, i partiti, le sette, il gregarismo nazionale e i corpi di armata di ogni genere. La storia non ha conosciuto, per la sua disumanità, che dei bravacci in carenza di affetto. Ci voleva un bel po' di cinismo per evocare la "selezione naturale", tipica della specie animale, quando la produzione di carne da cannone e da fabbrica implicava la sua correzione statistica, e l'economia familiare di procreazione comportava un vizio di forma in cui la morte svolgeva la sua parte.
L'evoluzione dei costumi ci fa guardare oggi come ad una mostruosità questa proliferazione bestiale di vite irrimediabilmente condannate a venir riassorbite sotto i colpi di machete della guerra, del massacro, della carestia, della malattia. Eppure: stigmatizzare la sovrappopolazione dei paesi dove l'oscurantismo religioso si nutre della miseria che consciamente mantiene, e accettare che in Europa uno stesso spirito arcaico e sprezzante continui a trattare gli studenti come bestiame denota un'evidente incoerenza.
Perché il sovraffollamento delle classi non è solo causa di comportamenti barbari, di vandalismo, di delinquenza, di noia, di disperazione, perpetua per di più l'ignobile criterio della competitività, la lotta concorrenziale che elimina chiunque non si conformi alle esigenze del mercato.
[...]
Non ci sono bambini stupidi, ci sono solo educazioni imbecilli. Forzare lo scolaro a issarsi fino in cima al cesto contribuisce al progresso laborioso della rabbia e della furbizia animali, non certo allo sviluppo di un'intelligenza creatrice e umana.
Ricordate che nessuno è paragonabile né riducibile a nessun altro, a niente altro. Ciascuno possiede le sue proprie qualità, non gli resta che affinarle per il piacere di sentirsi in accordo con ciò che vive. Che si cessi dunque di escludere dal campo educativo il fanciullo che si interessa più ai sogni e ai criceti che alla storia dell'Impero romano. Per chi rifiuta di lasciarsi programmare dai calcolatori della vendita promozionale, tutte le strade portano verso di sé e verso la creazione.
Ieri ci si doveva identificare al padre, eroe o cretino dai così dolci sarcasmi. Ora che i padri si accorgono che la loro indipendenza progredisce con l'indipendenza del bambino, ora che sentono abbastanza l'amore di sé e degli altri per aiutare l'adolescente a disfarsi della loro immagine, chi sopporterà che la scuola proponga ancora come modelli di realizzazione il finanziere efficace e corrotto, l'uomo politico energico e rimbecillito, il mafioso che regna con il clientelismo e la corruzione, mentre l'uomo d'affari trae i suoi ultimi profitti dal saccheggio del pianeta?
Ricercare la propria identità in una religione, un'ideologia, una nazionalità, una razza, una cultura, una tradizione, un mito, un'immagine vuol dire condannarsi a non raggiungersi mai. Identificarsi a ciò che si possiede in sé di più vivo, questo solo emancipa.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

domenica 10 maggio 2009

Privilegiare la qualità

A forza di obbedire al criterio della quantità, la corsa al profitto scade nell'assurdità della sovrapproduzione. Produrre molto aumentava ieri il plusvalore dei padroni, che non esitavano a distruggere le eccedenze di caffè, di carne, di grano per impedire un abbassamento dei pressi sul mercato.
Lo sviluppo del consumo, toccando un più vasto settore della popolazione, ha permesso di assorbire in una certa misura una crescente quantità di merci concepite piuttosto a scopo di guadagno che per il loro uso pratico.
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Ma a forza di lavare sempre più bianco anche la menzogna finisce per logorarsi. Offesa dall'eccesso di disprezzo, la clientela ha finito per recalcitrare. Si è mostrata critica, ha rifiutato di ingoiare ciecamente quello che il cucchiaino dello slogan gli infilava ad ogni momento negli occhi, in bocca, nelle orecchie, in testa.
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Ma, mentre gli organismi di difesa dei consumatori organizzano il boicottaggio dei prodotti snaturati da un'agricoltura che inonda il mercato di cereali forzati, di ortaggi concimati, di carni provenienti da animali martirizzati in allevamenti-lager, sembra che nelle scuole ci si rassegni a vedere la cultura avviarsi sulla stessa strada della peggiore agricoltura.
Se gli uomini politici nutrissero nei riguardi dell'educazione le buone intenzioni che proclamano a ogni pie' sospinto, non dovrebbero mettere in opera tutto per garantire la qualità? Tarderebbero forse a decretare le due misure che determinano la condizione sine qua non di un apprendimento umano: aumentare il numero di insegnanti e diminuire il numero di allievi per classe, in modo che ciascuno sia trattato secondo la sua specificità e non nell'anonimato di una folla?
Ma, apparentemente, l'interesse ha per loro una connotazione più economica che semplicemente umana. Se i governi privilegiano l'allevamento intensivo di studenti consumabili sul mercato, allora i principi di una sana gestione prescrivono di stivare nello spazio scolastico più piccolo la quantità minima di teste, modellabili dal minimo personale possibile. La logica è perfetta e nessuna società protettrice degli animali insorgerà contro il consumo forzato di conoscenze sottoposte alla legge della domanda e dell'offerta, né contro gli usi da mercanti di cavalli che regnano sulla fiera del lavoro.
[...]
Informazione al massimo numero di soggetti possibili, formazione per piccoli gruppi. Al centro di una vasta rete di irrigazione che dreni verso ogni allievo la molteplicità delle conoscenze, l'educatore avrà finalmente la libertà di diventare ciò che ha sempre sognato di essere: il rivelatore di una creatività di cui non vi è nessuno che non possieda la chiave, per quanto nascosta essa sia sotto il peso delle passate costrizioni.
Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

domenica 19 aprile 2009

La fine del lavoro forzato inaugura l'era della creatività

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Il lavoro è una creazione abortita. Il genio creatore dell'uomo si è trovato preso in trappola in un sistema che l'ha condannato a produrre potere e profitto, non lasciando altro sfogo al suo rigoglio che l'arte e il sogno.
Ora, questo lavoro di sfruttamento della natura, così spesso esaltato come la potenza prometeica che trasforma il mondo, ci consegna oggi il suo bilancio definitivo: una sopravvivenza confortevole le cui risorse ed il cui cuore si consumano nel circolo vizioso del profitto.
Come potrebbe un lavoro così inutile e così nocivo alla vita non esaurirsi a sua volta? Ieri procurava l'automobile e la televisione, al prezzo dell'aria inquinata e dei palliativi di una vita assente. Oggi resta solo un salvagente aleatorio di una società paralizzata dall'inflazione burocratica, dove niente è più garantito, né il salario, né la casa, né i prodotti naturali, né le risorse energetiche, né le conquiste sociali.
In un'atmosfera resa oppressiva dalla rarefazione degli affari, la diminuzione del lavoro è evidentemente sentita come una maledizione. La disoccupazione è un lavoro svuotato. Una stessa rassegnazione vi fa attendere un'elemosina come il lavoratore attende il suo salario dedicandosi ad un'occupazione che lo annoia (anche se ormai giudica imprudente confessarlo).
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Diminuire il tempo di lavoro per meglio distribuirlo? Sia pure. Ma in quale prospettiva e con quale coscienza? Se l'obbiettivo dell'operazione è, per i più, aumentare la produzione di beni e di servizi utili al mercato e non alla vita, in cambio di un salario che ne pagherà il consumo crescente, allora il vecchio capitalismo non avrà fatto altro che recuperare a suo profitto ciò che finge di abbandonare al profitto di tutti.
Al contrario, se la stessa pratica ubbidisce alle sollecitazioni di un neocapitalismo che cerca nell'investimento ecologico un'arma contro l'immobilismo di un padronato senza immaginazione, mancherà soltanto una presa di coscienza perché il salario garantito e il tempo di lavoro ridotto aprano a ciascuno il campo di una libera creazione e la libertà di ritrovarsi ed essere infine se stessi.
Perché, a dispetto dell'occultazione che intrattengono intorno ad essa le burocrazie della corruzione e le mafie affariste, esiste una domanda economico-sociale che va controcorrente rispetto alle grida di soccorso del disastro ordinario. Essa reclama un ambiente che migliori la qualità della vita, una produzione senza oppressione né inquinamento, dei rapporti autenticamente umani, la fine della dittatura che la redditività esercita sulla vita. Sta a voi - e alla nuova scuola che inventerete - impedire che la creatività, obiettivamente stimolata dalla promessa di impieghi di utilità pubblica, si intrappoli nell'alienazione economica, tagliandosi fuori dalla creazione di sé.
Se vi dimenticate di ciò che siete e in quale vita volete essere, non sperate in un altro destino che quello di una merce buona da buttare appena superata la cassa.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

sabato 28 marzo 2009

Delle nuove leve per gestire il fallimento

Non è inutile precisare, per aiutare alla comprensione della nostra epoca, attraverso quale processo lo sviluppo del capitalismo sia sfociato in una crisi planetaria che è la crisi dell'economia nel suo funzionamento totalitario.
Ciò che ha dominato, dall'inizio del XIX secolo, l'insieme dei comportamenti individuali e collettivi, è stata la necessità di produrre. Organizzare la produzione tramite il lavoro intellettuale e il lavoro manuale esigeva un metodo direttivo, una mentalità autoritaria, se non dispotica. Erano i tempi della conquista militare dei mercati. I paesi industrializzati depredavano senza scrupoli le risorse delle nuove colonie.
Quando il proletariato iniziò a coordinare le sue rivendicazioni, subì, a dispetto della sua spontaneità libertaria, l'influenza autocratica che la preminenza del settore produttivo esercitava sui costumi. Sindacati e partiti operai si danno una struttura burocratica che avrebbe finito per ostacolare le masse laboriose con il pretesto di emanciparle.
Il potere rosso si stabilisce tanto più facilmente perché riesce a strappare alla classe sfruttatrice porzioni dei benefici, tradotte in aumenti salariali, miglioramenti del tempo lavorativo (la giornata di otto ore, le ferie pagate), vantaggi sociali (sussidio di disoccupazione, mutua).
Gli anni '20 e '30 spingono al suo stadio supremo la centralizzazione della produzione. Il passaggio dal capitalismo privato al capitalismo di Stato avviene brutalmente in Italia, in Germania, in Russia, dove la dittatura di un partito unico - fascista, nazista, stalinista - impone la statalizzazione dei mezzi di produzione.
Nei paesi in cui la tradizione liberale ha salvaguardato una democrazia formale, la concentrazione monopolistica che attribuisce allo Stato una vocazione padronale si compie in modo più lento, sornione, meno violento.
È negli Stati Uniti che si manifesta per la prima volta un nuovo orientamento economico, votato ad uno sviluppo che trasformerà sensibilmente le mentalità e i costumi: l'incitamento al consumo infatti diventa più forte della necessità di produrre.
A partire dal 1945 il piano Marshall, destinato ufficialmente ad aiutare l'Europa devastata dalla guerra, apre la via alla società dei consumi, identificata ad una società del benessere.
L'obbligo di produrre a qualunque prezzo cede il posto ad un'impresa addobbata con gli ornamenti della seduzione, sotto la quale si nasconde nei fatti un nuovo imperativo prioritario: consumare. Consumare qualunque cosa, ma consumare.
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Si sono visti così i settori prioritari sacrificati a vantaggio del settore terziario, che vende la propria complessità burocratica sotto forma di aiuti e protezioni. L'agricoltura di qualità è stata schiacciata dalle lobbies dell'agroalimentare che producono in eccesso surrogati di cereali, carni e verdure. L'arte di abitare è stata sepolta sotto il grigiore, la noia e la criminalità del cemento che assicura le entrate dei gruppi di affari.
Per quanto riguarda la scuola, essa è chiamata a servire da riserva per gli studenti d'élite ai quali è promessa una bella carriera nell'inutilità lucrativa e nelle mafie finanziarie. Il circolo è chiuso: studiare per trovare un impiego, per quanto aberrante sia, si è riallacciato con l'ingiunzione di consumare nel solo interesse di una macchina economica che si blocca da tutte le parti in Occidente - anche se gli specialisti ci annunciano ogni anno la sua trionfale ripresa.
Ci impantaniamo nelle paludi di una burocrazia parassitaria e mafiosa in cui il denaro si accumula e circola in circuito chiuso anziché investirsi nella fabbricazione di prodotti di qualità, utili al miglioramento della vita e del suo ambiente. Il denaro è ciò che manca di meno, contrariamente a quello che vi rispondono i vostri deputati, ma l'insegnamento non è un settore redditizio.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

sabato 7 marzo 2009

Fare della scuola un centro di creazione di vita, non l'anticamera di una società parassitaria e mercantile

Nel dicembre 1991 la Commissione europea ha pubblicato un memorandum sull'insegnamento superiore. Vi si raccomandava alle università di comportarsi come imprese sottoposte alle regole concorrenziali del mercato. Lo stesso documento auspicava che gli studenti fossero trattati come dei clienti, incitati non ad apprendere ma a consumare.
I corsi diventavano così dei prodotti, i termini "studenti", "studi", lasciavano il posto ad espressioni più appropriate al nuovo orientamento: "capitale umano", "mercato del lavoro".
Nel settembre 1993 la stessa Commissione recidiva con un Libro verde sulla dimensione europea dell'educazione. Vi si precisa che, sin dalla scuola materna, bisogna formare delle "risorse umane per i bisogni esclusivi dell'industria" e favorire "una maggiore adattabilità di comportamento in maniera da rispondere alla domanda del mercato della manodopera".
Ecco come lo zoom insudiciato del presente proietta come futuro radioso la forza esaurita del passato!
Una volta eliminato quel che sussisteva di mediocremente redditizio nella scuola di ieri - il latino, il greco, Shakespeare e compagnia -, gli studenti avranno finalmente il privilegio di accedere ai gesti che salvano: equilibrare la bilancia dei mercati producendo dell'inutile e consumando della merda.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

sabato 21 febbraio 2009

Liberare dalla costrizione il desiderio di sapere

Lo sfruttamento violento della natura ha sostituito la costrizione al desiderio; esso ha propagato ovunque la maledizione del lavoro manuale e intellettuale, e ridotto ad un'attività marginale la vera ricchezza dell'uomo: la capacità di ricrearsi ricreando il mondo.
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La scuola porta il marchio visibile di una frattura nel progetto umano. Vi si percepisce sempre di più come e in quale momento la creatività del bambino vi è fatta a pezzi sotto il martellamento del lavoro. La vecchia litania familiare: "Prima lavora, ti divertirai in seguito" ha sempre espresso l'assurdità di una società che ingiungeva di rinunciare a vivere per meglio consacrarsi a una fatica che distruggeva la vita e non lasciava ai piaceri che i colori della morte.
Ci vuole tutta la stupidità dei pedagoghi specializzati per stupirsi che tanti sforzi e fatiche inflitti agli scolari portino a risultati così mediocri. Che cosa aspettarsi quando il cuore è assente? Charles Fourier, nel corso di un'insurrezione, osservando con quale cura e quale ardore gli agitatori disselciavano i sanpietrini di una strada e alzavano una barricata in qualche ora, notava che per la stessa opera ci sarebbero voluti tre giorni di lavoro ad una squadra di sterratori agli ordini di un padrone. I salariati non avrebbero trovato altro interesse nella faccenda che la paga, mentre la passione della libertà animava gli insorti. Solo il piacere di essere sé e di appartenersi darebbe al sapere quell'attrazione passionale che giustifica lo sforzo senza ricorrere alla costrizione.
Perché diventare ciò che si è esige la più intransigente delle risoluzioni.
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Noi non vogliamo essere i migliori, noi vogliamo che il meglio della vita ci appartenga, secondo quel principio di inaccessibile perfezione che abolisce l'insoddisfazione in nome dell'insaziabilità.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

domenica 1 febbraio 2009

Ciò che si insegna attraverso la paura rende il sapere timoroso

Niente è più ignobile della paura, che abbassa l'uomo alla bestia braccata, ed io non concepisco che la si possa tollerare né da parte dell'allievo né da quella del professore. Nulla progredisce attraverso il terrore se non il terrore stesso. Quand'anche le direttive pedagogiche si sfiancassero a privilegiare il principio che mi sembra la condizione di un vero apprendimento della vita: togliere la paura e dare la sicurezza, bisognerebbe, per applicarlo, fare della scuola un luogo in cui non regnano né autorità né sottomissione, né forti né deboli, né primi né ultimi. Finché non formerete una comunità di allievi e di insegnanti appassionati a perfezionare ciò che ciascuno ha di creativo in sé, avrete un bell'indignarvi della barbarie sotto ogni forma, del fanatismo religioso, del settarismo politico, dell'ipocrisia e della corruzione dei governanti, non scaccerete né gli integralismi, né le mafie della droga e degli affari, perché vi è nell'organizzazione gerarchizzata dell'insegnamento un fermento sornione che predispone al loro dominio.
Ora che le ideologie di sinistra e di destra si sciolgono al sole della loro comune menzogna, l'unico criterio di intelligenza e di azione risiede nella vita quotidiana di ciascuno e nella scelta alla quale ogni istante lo confronta, tra ciò che afferma la propria vita e ciò che la distrugge.
[...]
Non intravvedo altro modo di finirla con la paura e la menzogna che ne consegue se non in una volontà ravvivata incessantemente di godere di sé e del mondo. Imparare a sgarbugliare ciò che ci rende più vivi da ciò che ci uccide è la prima delle lucidità, quella che dà il suo senso alla conoscenza.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

giovedì 15 gennaio 2009

Solo coloro che posseggono la chiave dei campi e la chiave dei sogni apriranno la scuola su una società aperta

La prospettiva di una redditività a tutti i costi è la cortina di ferro di un mondo chiuso dall'economia. La prospettiva di vita si apre su un mondo dove tutto è da esplorare e da creare. L'istituzione scolastica, invece, appartiene al mondo degli affari che la vorrebbe gestire cinicamente, senza l'ingombro del vecchio formalismo umanitario. Resta da sapere se allievi e professori si lasceranno ridurre alla funzione di meccanismi lucrativi, o se, non aspettandosi niente di buono dalla gestione, alla quale li si invita, di un universo in rovina, scommetteranno sull'ipotesi di imparare a vivere anziché a economizzarsi. Tutto si gioca su un cambiamento di mentalità, di visione, di prospettiva.
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Colui che porta nel suo cuore il cadavere della propria infanzia non educherà mai nient'altro che delle anime morte.
[...]
Il corpo umano, il comportamento animale, il fiore, la speculazione filosofica, la coltura del grano, l'acqua, la pietra, il fuoco, l'elettricità, la lavorazione del legno, l'equitazione, la fisica quantica, l'astronomia, la musica, un improvviso momento privilegiato nella vita quotidiana, tutto nasce dal meraviglioso, non per mistica contemplativa, ma perché la scelta di una preminenza di ciò che è vivo cessa di piegarsi agli imperativi tradizionali dello sfruttamento lucrativo.
Quando la foresta è il polmone della terra e non il prezzo di un certo numero di are o uno spazio da devastare per interesse immobiliare, allora si manifesta il senso umano di una natura che offre le sue risorse energetiche a chi l'affronta senza violentarla.
L'apprendimento della vita è una passeggiata nell'universo del dono. Un andar per funghi per così dire, dove la guida insegna a distinguere i funghi commestibili dagli altri, inadatti al consumo, se non mortali, ma dai quali un trattamento appropriato può trarre virtù curative.
[...]
Che l'apertura sul mondo culturale sia anche l'apertura sulla diversità delle età! Perché riservare ai giovani il diritto all'istruzione, escludendo gli adulti interessati ad iniziarsi alla letteratura o alla matematica? Non avremmo tutti da guadagnare da un contatto che rompesse l'opposizione fittizia tra le classi di età?
Ma non esiste né ricetta né panacea. Appartiene solo alla volontà di vivere di ciascuno di aprire ciò che è stato chiuso dalla violenza del totalitarismo economico. In questo l'immaginazione dimostrerà la sua potenza.
Non passa anno che dozzine di maestri e professori inventivi non suggeriscano metodi di insegnamento fondati su un nuovo accordo degli esseri e delle cose.
[...]
La peggior rassegnazione è quella che veste gli abiti della rivolta. Nutrite per voi stessi così poca stima da non prendere il tempo di riconoscere i vostri desideri di vita, da non sapere quale esistenza volete condurre? Non concepite dunque altra scelta che l'alternativa che vi è ufficialmente proposta tra la povertà del ricco e la miseria del povero?
Il desolante avvenire di una vita passata a racimolare il denaro del mese deve sembrarvi luminoso solo perché l'ombra della disoccupazione cresce ovunque regni il sole mediatico del pieno impiego? Nulla uccide con più sicurezza che accontentarsi di sopravvivere.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

domenica 30 novembre 2008

Errore non vuol dire colpa

Il sistema educativo non si è accontentato di murare i desideri d'infanzia nella corazza caratteriale dove i muscoli tetanizzati, il cuore indurito e lo spirito impregnato dall'angoscia non favoriscono davvero l'esuberanza e la realizzazione. Non si è limitato a collocare lo scolaro in edifici senza gioia, destinati a ricordargli, nel caso se ne dimenticasse, che non è lì per divertirsi. Ha anche sospeso sulla sua testa la spada di Damocle, al contempo ridicola e minacciosa, di un verdetto.
Ogni giorno l'allievo penetra, che lo voglia o no, in un pretorio dove compare davanti ai suoi giudici sotto l'accusa di presunta ignoranza. Sta a lui dimostrare la sua innocenza rigurgitando a richiesta teoremi, regole, date, definizioni che contribuiranno al suo rilascio alla fine dell'anno scolastico.
[...]
Nessuno intende qui negare l'utilità di controllare l'assimilazione delle conoscenze, il grado di comprensione, l'abilità sperimentale. Ma è necessario per questo travestire in giudice e in colpevole un maestro e un allievo che chiedono soltanto di istruire ed essere istruito? Di quale spirito dispotico e desueto si investono i pedagoghi per erigersi a tribunale e tranciare nel vivo col rasoio del merito e del demerito, dell'onore e del disonore, della salvezza e della dannazione?
[...]
Le religioni hanno bisogno della miseria per perpetuarsi, esse la mantengono per dare maggior risalto ai loro atti di carità. Ebbene, il sistema educativo agisce forse diversamente quando presuppone nell'allievo una debolezza costitutiva, sempre esposta al peccato di pigrizia e di ignoranza, da cui può assolverlo solo la missione per così dire sacra del professore? È ora di finirla con queste frottole del passato!
Ognuno possiede la sua propria creatività. E non tollera più che venga soffocata trattando come un crimine passibile di punizione il rischio di sbagliarsi. Non ci sono colpe, ci sono solo errori, e gli errori si correggono.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

mercoledì 26 novembre 2008

Petizione a sostegno dei e delle 9 di Tarnac

In merito al recente post La fattoria dei terroristi, pubblichiamo volentieri la petizione gentilmente girataci dall'amica urgence:

PETIZIONE A SOSTEGNO DEI E DELLE 9 DI TARNAC


Una recente operazione, largamente mediatizzata, ha permesso di arrestare e incolpare nove persone attraverso la messa in opera della legislazione antiterrorista.

Questa operazione ha già cambiato natura: una volta stabilita l'inconsistenza dell'accusa di sabotaggio dei cavi elettrici, l'affare ha preso un tono chiaramente politico.
Per il procuratore della Repubblica, "il fine della loro impresa è di raggiungere le istituzioni dello Stato e di arrivarci con la violenza - Io ripeto con la violenza e non con la contestazione, che è permessa- per disturbare l'ordine politico, economico e sociale"

L'obbiettivo di questa operazione è molto più grande del gruppo di persone accusate, contro le quali non esiste nessuna prova materiale ma neanche nulla di preciso che possa essere a loro imputato.

L'accusa di "associazione a delinquere in vista di una impresa terroristica" è più che vaga: che significa una associazione e come dobbiamo intendere questo "in vista di" se non come una criminalizzazione dell'intenzione?

Quanto al qualificativo di terrorista, la definizione in vigore è così ampia che può essere applicata praticamente a qualunque cosa e possedere questo o un altro testo, andare a questa o un'altra manifestazione è sufficiente per cadere sotto questa legislazione d'eccezione.

Le persone incolpate non sono state scelte a caso, bensì perchè conducono un'esistenza politica. Hanno partecipato a delle manifestazioni - ultimamente a quella di Vichy, dove si è tenuto un poco onorevole summit europeo sull'immigrazione.

Loro riflettono, leggono dei libri, vivono assieme in un lontano villaggio.

Si è parlato di clandestinità: hanno aperto un negozio di generi alimentari, tutti li conoscono nella regione, dove un comitato di appoggio si è organizzato fin dal loro arresto.

Quello che cercano non è l'anonimato nè il rifugio, ma il contrario: un'altra relazione rispetto a quella, anonima, della metropoli.

Infine, l'assenza di prova diventa essa stessa una prova: il rifiuto degli accusati di denunciarsi l'un l'altro durante il fermo di polizia è stato presentato come un nuovo indizio del loro sfondo terrorista.

In realtà, questo affare è un test per tutti noi .

Fino a che punto accetteremo che l'antiterrorismo possa accusare chiunque quando meglio gli pare?

Dove si situa il limite della libertà d'espressione?

Le leggi d'eccezione adottate con il pretesto del terrorismo e della sicurezza sono compatibili a lungo termine con la democrazia?

Siamo pronti a vedere la polizia e la giustizia che negoziano la svolta verso un nuovo ordine?

La risposta a queste domande sta a noi darla, iniziando a chiedere la fine delle persecuzioni e la liberazione immediata di quelle e quelli che sono stati accusati per dare l'esempio.

Questa petizione è stata lanciata da Eric Hazan e dalle edizioni La Fabrique in merito alla questione dei 9 arrestati la scorsa settimana (i cosiddetti "terroristi" del Comité Invisible).

E' possibile firmarla con il vostro nome e la vostra qualifica (professione o assenza di professione, statuto o assenza di statuto) e reinviarla all'inidirizzo seguente:

lafabrique@lafabrique.fr

Oppure firmarla direttamente sul sito, cliccando qui.

Aiutateci a farla girare il più possibile.

http://www.soutien11novembre.org/

martedì 25 novembre 2008

La fattoria dei terroristi

Una enorme montatura poliziesca campeggia da alcuni giorni sulla stampa francese

Paolo Persichetti, Liberazione, 22 Novembre 2008

Una enorme montatura poliziesca campeggia da alcuni giorni sulla stampa francese. 9 giovani tra i 25 e i 33 anni sono stati messi sotto inchiesta e incarcerati dal giudice della sezione antiterrorista di Parigi con l’accusa di partecipazione ad una “associazione con finalità di terrorismo”, mentre 5 di loro si sono visti contestare alcuni atti di degradazione delle linee elettriche dell’alta velocità. Capi d’imputazione molto pesanti che possono arrivare a 20 anni di reclusione. La Società nazionale delle ferrovie aveva denunciato nei giorni precedenti diversi atti di sabotaggio. Nella notte tra il 7 e l’8 novembre alcuni ganci forgiati con tondini di ferro erano stati apposti sulle catenarie, i fili elettrici che alimentano la rete ferroviaria, provocando un vero e proprio stravolgimento del traffico con ritardi per 160 treni sulle linee del Tgv. Episodi che hanno suscitato enorme allarme al punto che il governo ha sospettato, visto il clima di tensione che si trascinava da giorni tra sindacati e direzione delle Ferrovie, un coinvolgimento dei lavoratori. Un clima di pesante sospetto si era diffuso verso le sigle sindacali più radicali, come Sud-rail e la stessa Cgt, al punto che le autorità hanno dovuto smentire la presenza di dipendenti tra gli arrestati.All’alba dell’11 novembre 150 agenti appartenenti ai diversi servizi antiterrorismo della polizia hanno fatto irruzione in un casale di campagna, una vecchia fattoria in località le Goutailloux, nel piccolo villaggio di Tarnac (350 anime), situato nel centro della Francia, più precisamente in Corrèze nella regione del Limousin. E in effetti, la vecchia fattoria in pietra da taglio messa sotto sorveglianza fin dalla primavera scorsa si trova proprio nel plateau des millevaches . Qui sono state arrestate 5 persone. Nelle stesse ore altre 15 sono state fermate nel resto della Francia, a Rouen, nella Meuse e a Parigi. In gran parte studenti universitari. Alla fine solo 9 di loro sono stati incriminati. Tra questi Julien Coupat, multilaureato, conosciuto a Parigi per la sua attività politico-intellettuale, «di formazione postsituazionista, ottimo conoscitore di Guy Debord», spiega Luc Boltanski, direttore di studi all’Ehss che l’ha avuto tra i suoi allievi. Componente alla fine degli anni '90 del collettivo che diede vita alla rivista Tiqqun , vicina al lavoro del filosofo Giorgio Agamben. Tra gli autori di un testo pubblicato anche in Italia da Bollati-Boringhieri, La teoria della jeunne-fille . Indicato come la figura trainante di quella che gli inquirenti hanno definito «cellula invisibile». La retata è stata subito presentata come un affare di Stato. Il ministro degli Interni, Michèle Alliot-Marie, in compagnia del presidente delle ferrovie, Guillaume Pepy, l’ha addirittura annunciata ai mezzi d’informazione. «Queste persone hanno voluto colpire le ferrovie perché sono un simbolo dello Stato e sapevano che i loro atti avrebbero suscitato un forte eco mediatico», ha spiegato alla stampa aggiungendo che i fermati appartengono ad una fantomatica area dell’ultra-sinistra «anarco-autonoma». Sullo stesso tono si è pronunciato il presidente della repubblica Nicolas Sarkozy, felicitandosi per i risultati «rapidi e promettenti» ottenuti dagli investigatori, salutando «l’efficacia e la mobilitazione» della polizia e della gendarmeria e in modo tutto particolare la nuova «Direzione centrale dell’informazione interna e della Sotto-Direzione antiterrorista», nati proprio dalla riforma dei Servizi di sicurezza da lui voluta. In effetti, questi arresti ultramediatici sembrano proprio un’operazione di marketing costruita appositamente per dimostrare l’efficienza e il successo di queste nuove strutture. L’inchiesta, infatti, nasce da lontano e solo all’ultimo momento sembra essersi interessata agli atti di sabotaggio realizzati sulle reti elettriche delle ferrovie. L’indagine parte da New York dove nella primavera scorsa l’Fbi ha segnalato ai Servizi francesi la presenza di alcuni dei giovani arrestati nella fattoria di Tarnac. Individuati nel corso di una manifestazione pacifista organizzata nel gennaio 2008 davanti ad un centro di reclutamento dell’esercito americano. Attività contro la guerra che non si capisce come possa essere accostata a comportamenti di natura terroristica, tali da richiedere uno scambio d’informazioni a livello internazionale. Dopo questa segnalazione, una inchiesta preliminare è stata aperta dalla procura nazionale antiterrorismo di Parigi. Da 11 mesi i movimenti attorno alla fattoria erano seguiti senza dare però alcun risultato. Una lavoro davvero frustrante per gli 007 dell’antiterrorismo che hanno dispiegato mezzi di controllo sofisticati. Il gruppo di giovani, che da alcuni anni si era ritirato nel paesino, coltivava l’orto, allevava capre, anatre, galline, insomma aveva deciso di mettere in pratica una forma d’esistenza che voleva darsi «i mezzi materiali e affettivi per fuggire la frenesia metropolitana e sperimentare forme di condivisione», ha spiegato a le Monde Mathieu B., 27 anni, uno dei fermati poi rilasciato. Alcuni di loro avevano rilevato il piccolo negozio d’alimentari del paese e organizzato un servizio di rifornimento degli anziani sparpagliati nelle diverse contrade e masserie della zona. Insomma un vero servizio sociale molto apprezzato dagli abitanti del posto e dal sindaco che aveva concesso al gruppo anche dei locali di proprietà del comune. Il loro arrivo aveva portato idee, entusiasmo ed aria nuova in quel piccolo angolo di Francia rurale, vivacizzandone anche la vita culturale. L’intera Tarnac si è infatti subito mobilitata in difesa dei ragazzi creando un comitato di sostegno che ha spiazzato le autorità. L’immagine dei cattivi, dei feroci terroristi che attentavano… all’orario dei treni si è presto sgretolata. Col passare dei giorni non sono emerse le prove schiaccianti promesse e il Dna tanto sbandierato. Nella fattoria, oltre ai polli e alle galline, sono stati trovati dei depliant della Sncf con gli orari dei treni… quelli che normalmente vengono offerti agli sportelli, delle scale del tipo presente in ogni domicilio familiare, materiale da arrampicata che molti dei ragazzi praticavano come hobby.
La piccola comunità discuteva, faceva politica, aveva contatti nel resto della Francia, in Europa e Oltreoceano, incontrava gente che la pensava allo stesso modo, partecipava a manifestazioni per i sans papiers e contro la banca dati Edwige ( vedi Queer del 5 ottobre 2008 ) e poi scriveva. Agli arrestati, e in particolare a Julien Coupat, viene attribuita la stesura di un pamphlet, L’insurrection qui vient , edizioni La Fabrique, che ha già venduto 10 mila copie (il testo è interamente scaricabile da internet, basta cliccare www.lafabrique.fr ) che polizia e magistratura considerano una sorta di manuale della sovversione.
E in effetti è proprio questo l’aspetto, oltre alla assoluta carenza di prove sui fatti contestati, che ha suscitato vive proteste nell’opinione pubblica, che ha differenza di quella italiana non è assuefatta ai metodi dell’emergenza antiterrorismo. «A partire da questo libro, ritrovato in alcune perquisizioni nella primavera scorsa - spiega l’editore Eric Hazan - sembra che ci sia stata una sorta di costruzione poliziesca del nemico interno». Giorgio Agamben su Libération ha denunciato la deriva legislativa che ormai assimila al reato di terrorismo ogni forma di opposizione sociale che si ponga in antitesi con i governi e le istituzioni e consente di attribuire la finalità di terrorismo ad attività come picchettaggi, occupazioni, boicottaggi o sabotaggi di merci e infrastrutture, ma appartengono alla lunga storia delle lotte sociali del movimento operaio. In Italia chi avrebbe avuto il coraggio di dire una cosa del genere. Per Maria Sole e Baleno ci fu solo silenzio.

Per scrivergli ed avere gli altri indirizzi:
Julien COUPAT : N° d’écrou 290173 42 rue de la santé 75014 PARIS

martedì 18 novembre 2008

Imparare senza desiderio vuol dire disimparare a desiderare

[...]
Come si può eccitare la curiosità in esseri tormentati dall'angoscia della colpa e la paura delle sensazioni? Certo esistono professori sufficientemente entusiasti da appassionare il loro uditorio e far dimenticare per un istante le condizioni detestabili che degradano il loro mestiere. Ma quanti, e per quanti anni?
[...]
L'aberrazione del mondo a rovescio ha pesato per secoli sull'educazione del fanciullo.
[...]
Quando, finalmente disgustato da tante domande giudicate senza interesse, entra nel ciclo degli studi, gli si danno risposte di cui ha perduto il desiderio. Ciò che con passione aveva voluto conoscere qualche anno prima, è costretto a studiare per forza e sbadigliando di noia.
[...]
La conoscenza del mondo senza la coscienza dei desideri di vita è una conoscenza morta. Essa non ha utilità che al servizio dei meccanismi che trasformano la società secondo le necessità dell'economia. I lenimenti che essa procura alla sorte degli uomini, non li cede che a malincuore, e sotto la minaccia di un rigore futuro che ne cancellerà gli effetti.
Dopo aver strappato lo scolaro alle sue pulsioni di vita, il sistema educativo si industria per ingozzarlo artificialmente allo scopo di immetterlo sul mercato del lavoro, dove continuerà a ripetere stentatamente il leitmotiv dei suoi anni giovanili fino al disgusto: vinca il migliore!
Vincere che cosa? Più intelligenza sensibile, più affetto, più serenità, più lucidità su se stesso e sul mondo, maggiori mezzi di agire sulla propria esistenza, più creatività? Niente affatto, più denaro e più potere, in un universo che ha usato il denaro e il potere a forza di essere usato da loro.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

venerdì 31 ottobre 2008

Come può esserci conoscenza dove c'è oppressione?

Ovunque la prigione, il ghetto, la corazza caratteriale impongono la loro strategia di clausura, lo slancio della disperazione leva il pugno del devastatore. La mano dello scolaro si vendica mutilando tavoli e sedie, macchiando i muri di segni insolenti, strappando gli orpelli della bruttezza, sacralizzando un vandalismo in cui la rabbia di distruggere compensa il sentimento di essere distrutti, violentati, messi a sacco dalla trappola pedagogica quotidiana.
Le bocche si aprono in grida stizzose di protesta, gli occhi attingono nella sfida il bagliore di entusiasmo che è loro rifiutato. Così i movimenti di contestazione periodicamente risvegliati dalle direttive di istanze burocratiche e governative scadono - per assenza di creatività - nello stesso grigiore e nella stessa stupidità del potere inconsistente che li ha provocati. Che ci si può aspettare da manifestazioni gregarie in cui l'intelligenza degli individui, in mancanza di un progetto di cambiamento radicale, si riduce, secondo il comun denominatore delle folle, al più basso livello di comprensione?
Per evitare l'esplosione dei desideri rimossi alla rinfusa, le autorità hanno saputo approntare sacche di decompressione e di trasgressioni controllate. Il lassismo non è il soffio della libertà, è il fiato della tirannia.
Il cortile di ricreazione previsto in prigioni, caserme e scuole permette all'energia libidica compressa dai rigori della disciplina di sfogarsi a piacimento. Esso conserva la separazione fra la testa - il "capo" - e il resto del corpo, che per principio le è sottomesso, ma rovescia l'ordine gerarchico stabilito durante il tempo dello studio. L'ultimo vi diviene il primo: il cattivo scolaro e il bruto muscoloso diventano i leader e la fanno pagare al primo della classe. Nulla è cambiato se non che le pulsioni della vita oppressa si sfogano in pulsioni di morte.
Una volta chiusa la parentesi del disordine tollerato, lo spirito riprende i suoi diritti, con la missione di regnare sul caos. Quelli che il potere professorale ha aureolato della santità del sapere riprendono il loro posto in testa al plotone. La loro intellettualità rigetta nelle tenebre la bestia che si aggira nel profondo dell'essere, mentre la loro superiorità si afferma sull'orda degli indisciplinati, degli svagati, degli ultimi della classe, chiamati bestioni, secondo un insulto che meriterebbe di essere analizzato più a fondo (quando si prenderà coscienza che rinnegare l'animalità delle pulsioni invece di affinarle non conduce all'umanità ma ad una bestialità dal volto umano).
Esiste evidentemente un ritmo naturale dello sforzo e del riposo, della concentrazione e del rilassamento, ma l'organizzazione sociale del lavoro ha sostituito alla semplice alternanza di contrazione e decontrazione il meccanismo psicologico di rimozione e sfogo. Il comportamento ordinario dello sfruttatore che accorda agli sfruttati un periodo di ricreazione per rinviarli ben disposti alla fabbrica e all'ufficio si è espresso perfettamente nell'affermazione del generale de Gaulle irritato dalla rivoluzione del 1968: "È ora di fischiare la fine dell'ora di ricreazione."

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

mercoledì 15 ottobre 2008

Farla finita con l'educazione carceraria e la castrazione del desiderio

Quale dovrebbe essere la preoccupazione essenziale dell'insegnamento? Aiutare il fanciullo nel suo approccio alla vita per fargli imparare a sapere ciò che vuole e volere ciò che sa; cioè a soddisfare i suoi desideri, non nella soddisfazione animale ma secondo gli affinamenti della coscienza umana.
[...]
Si è prodotto l'opposto. L'apprendimento si è fondato sulla repressione dei desideri. Si è rivestito il fanciullo di abiti angelici sotto i quali non ha mai smesso di fare la bestia, una bestia snaturata per di più.

Una scuola che ostacola i desideri stimola l'aggressività

Gli antichi edifici scolastici ricordano i penitenziari. Le finestre poste in alto non permettevano allo sguardo dell'allievo che un'occhiata verso il cielo, unico spazio riservato alla felicità delle anime, se non dei corpi. Perché il corpo, immobilizzato su un banco di studio presto trasformato in banco di tortura, subiva nell'imbarazzo ordinario il suo destino terrestre.
[...]
I metodi educativi hanno rinunciato alle punizioni corporali all'epoca in cui lo schiaffo e il calcio nel culo hanno smesso di costituire l'essenziale di un'educazione familiare che, a detta dei torturatori, aveva sempre dato prova di sé.
Eccome!
Questo non significa tuttavia che il corpo sfugga ormai alle vessazioni, alla mortificazione, al disprezzo. I sensi non sono forse posti sotto alta sorveglianza durante le ore di studio e nello spazio che è loro riservato? L'occhio ha il dovere di incollarsi ai gesti del maestro. La bocca non si aprirà che all'invito del mentore, e guai a ciò che oserà profferire! Risposte sbagliate, proposizioni scandalose suscitano la bastonata, il rabbuffo, la presa in giro, l'umiliazione; mentre la parola pertinente o servile si attira la lode che il bilancio promozionale di fine anno si incaricherà di contabilizzare. La mano, infine, si leverà con educazione per sollecitare l'attenzione del pedante, con il rischio, fino a poco tempo fa, di farsi battere sulle dita con la regola del retto buon senso.
Ci si accorge, con la distanza del tempo, che studenti e studentesse sono stati trattati secondo i procedimenti dello scienziato staliniano Pavlov che, tra i cani del suo laboratorio, ricompensava la buona risposta con uno zuccherino e puniva l'errore con un choc elettrico. Non fu forse necessario che il disprezzo fosse la norma di un'epoca perché dei pedagoghi preconizzassero un metodo educativo che nessun essere umano degno di questo nome infliggerebbe oggi a un cane? Ed è poi così sicuro che la scuola non resti, nella vigliaccheria di un consenso generale, un luogo di ammaestramento e di condizionamento, al quale la cultura serve da pretesto e l'economia da realtà?

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

mercoledì 1 ottobre 2008

Dichiarazione dei diritti di Luther Blissett

L'industria dello spettacolo integrato e del comando immateriale mi deve dei soldi. Non scenderò a patti con lei finché non avrò ciò che mi spetta. Per tutte le volte che sono comparso in televisione, al cinema o per radio, come passante casuale o come elemento del paesaggio, e la mia immagine non mi è stata pagata; per tutte le volte che le mie tracce, iscrizioni, graffiti, fotografie, disposizioni di oggetti nello spazio (come parcheggi fantasiosi, incidenti catastrofici o spettacolari, atti di vandalismo, abusivismo edilizio, ecc.) sono state usate a mia insaputa da show o telegiornali; per tutte le parole o espressioni di sicuro impatto comunicativo da me coniate nei bar periferici, nelle piazze, ai muretti, nei centri sociali, che sono poi diventate sigle di trasmissioni, potenti slogan pubblicitari o nomi di gelati confezionati, senza che io vedessi una lira; per tutte le volte che il mio nome ed i miei dati personali sono stati messi al lavoro gratis dentro calcoli statistici, per adattare alla domanda, definire strategie di marketing, aumentare la produttività di imprese che non potrebbero essermi più estranee; per la pubblicità che faccio di continuo indossando magliette, zainetti, calzini, giubbotti, costumi, asciugamani con marchi e slogan commerciali, senza che il mio corpo sia remunerato come cartellone pubblicitario; per tutto questo e per molto altro ancora l'industria dello spettacolo integrato mi deve dei soldi!

Capisco che sarebbe complicato calcolare singolarmente quanto mi spetta. Ma questo non è affatto necessario, perché io sono Luther Blissett, il multiplo e il molteplice. E ciò che l'industria dello spettacolo integrato mi deve, lo deve ai molti che io sono e me lo deve perché io sono molti. Da questo punto di vista possiamo accordarci quindi per un compenso forfeittario generalizzato.
Non avrete pace finché non avrò i soldi!

MOLTI SOLDI PERCHE' IO SONO MOLTI: REDDITO DI CITTADINANZA PER LUTHER BLISSETT

lunedì 29 settembre 2008

Una scuola dove la vita si annoia insegna solo la barbarie

* Il mondo è cambiato più in trent'anni che in tremila. Mai - perlomeno nell'Europa occidentale - la sensibilità dei ragazzi ha tanto deviato dai vecchi istinti predatori che fecero dell'animale umano la più feroce e la più distruttrice delle specie terrestri.

* Il nostro sistema educativo si inorgoglisce a ragione di aver risposto con efficacia alle esigenze di una società patriarcale un tempo onnipotente, tenendo conto di un solo dettaglio: che una tale gloria è al contempo ripugnante e superata.

* Bisogna davvero coltivare la stupidità con una prolissità ministeriale per non revocare immediatamente un insegnamento che il passato impasta ancora con i lieviti ignobili del dispotismo, del lavoro forzato, della disciplina militare e di quell'astrazione, la cui etimologia - abstrahere, tirar fuori da - esprime bene l'esilio da sè, la separazione dalla vita.
Finalmente agonizza quella società in cui si entrava vivi solo per imparare a morire.

* I pedagoghi dissertavano sul fallimento scolastico senza preoccuparsi dello scacchiere su cui si tramava l'esistenza quotidiana, giocata ad ogni passo nell'angoscia del merito e del demerito, della perdita e del profitto, dell'onore e del disonore. Una costernante banalità regnava nelle idee e nei comportamenti: c'erano i forti e i deboli, i ricchi e i poveri, i furbi e gli imbecilli, i fortunati e gli sfortunati.
Certo la prospettiva di dover passare la propria vita in una fabbrica o in un ufficio a guadagnare il denaro del mese non era atta ad esaltare i sogni di felicità e di armonia che l'infanzia nutriva. Essa produceva in serie degli adulti insoddisfatti, frustrati di un destino che avrebbero desiderato più generoso.

* L'insopportabile predominanza degli interessi finanziari sul desiderio di vivere non riesce più a ingannare. Il tintinnio quotidiano dell'esca del guadagno risuona assurdamente nella misura in cui il denaro si svaluta, che un fallimento comune livella capitalismo di Stato e capitalismo privato, e che scivolano verso la fogna del passato i valori patriarcali del padrone e dello schiavo, le ideologie di destra e di sinistra, il collettivismo e il liberalismo, tutto ciò che si è edificato sullo stupro della natura terrestre e della natura umana in nome della sacrosanta merce.

* La noia genera la violenza, la bruttezza degli edifici incita al vandalismo, le costruzioni moderne, cementate dal disprezzo degli impresari immobiliari, si screpolano, crollano, prendono fuoco, secondo l'usura programmata dei loro materiali di paccottiglia.

* La scuola è al centro di una zona di turbolenza dove gli anni giovanili rovinano nella tetraggine, dove la nevrosi coniugata dell'insegnante e dell'insegnato imprime il suo movimento al bilanciere della rassegnazione e della rivolta, della frustrazione e della rabbia. Essa è anche il luogo privilegiato di una rinascita. Porta in gestazione la coscienza che è al centro della nostra epoca: assicurare la priorità di ciò che vive sull'economia di sopravvivenza.
Essa detiene la chiave dei sogni in una società senza sogno: la risoluzione di cancellare la noia sotto il rigoglio di un paesaggio in cui la volontà di essere felici bandirà le fabbriche inquinanti, l'agricoltura intensiva, le prigioni di ogni genere, i laboratori di affari sospetti, i depositi di prodotti sofisticati, e quelle cattedre di verità politiche, burocratiche, ecclesiastiche che chiamano lo spirito a meccanizzare il corpo e lo condannano a claudicare nell'inumano.

* Ormai, ogni bambino, ogni adolescente, ogni adulto si trova all'incrocio di una scelta: sfinirsi in un mondo sfinito dalla logica della redditività ad ogni costo, o creare la propria vita creando un ambiente che ne assicuri la pienezza e l'armonia. Perchè l'esistenza quotidiana non può essere confusa più a lungo con questa sopravvivenza adattativa a cui l'hanno ridotta gli uomini che producono la merce e dalla quale sono prodotti.
Noi non vogliamo più una scuola in cui si impara a sopravvivere disimparando a vivere.

* Che l'infanzia sia caduta nella trappola di una scuola che ha ucciso il meraviglioso invece di esaltarlo, indica abbastanza in quale urgenza si trovi l'insegnamento, se non vuole cadere in seguito nella barbarie della noia, di creare un mondo di cui sia permesso meravigliarsi.
Guardatevi tuttavia dall'attendere aiuto o panacea da qualche salvatore supremo. Sarebbe vano, sicuramente, accordare credito a un governo, a una fazione politica, accozzaglia di gente preoccupata di sostenere prima di tutto l'interesse del loro potere vacillante; e nemmeno a tribuni e maitres à penser, personaggi massmediatici che moltiplicano la loro immagine per scongiurare la nullità che riflette lo specchio della loro esistenza quotidiana. Ma sarebbe soprattutto andare contro se stessi, inginocchiarsi come un questuante, un assistito, un inferiore, mentre l'educazione deve avere per scopo l'autonomia, l'indipendenza, la creazione di sè, senza la quale non vi è vero aiuto reciproco, autentica solidarietà, collettività senza oppressione.
Una società che non ha altra risposta alla miseria che il clientelismo, la carità e l'arte di arrangiarsi è una società mafiosa. Mettere la scuola sotto il segno della competizione e incitare alla corruzione, che è la morale degli affari.
La sola assistenza degna di un essere umano è quella di cui ha bisogno per muoversi con i propri mezzi. Se la scuola non insegna a battersi per la volontà di vivere e non per la volontà di potenza, essa condannerà intere generazioni alla rassegnazione, alla servitù e alla rivolta suicida. Rovescerà in soffio di morte e di barbarie ciò che ciascuno possiede in sè di più vivo e di più umano.
Io non immagino altro progetto educativo che quello di formarsi nell'amore e nella conoscenza di ciò che è vivo. Al di fuori di una scuola della vita dove la vita si trova e si cerca senza fine - dall'arte di amare fino alle matematiche speculative - non vi è che la noia e il peso morto di un passato totalitario.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

martedì 23 settembre 2008

Avviso agli studenti


* La scuola è stata, con la famiglia, la fabbrica, la caserma e accessoriamente l'ospedale e la prigione, il passaggio ineluttabile in cui la società mercantile piegava a suo vantaggio il destino degli esseri che si dicono umani.
Il governo che essa esercitava su nature ancora appassionate delle libertà dell'infanzia l'apparentava, infatti, a quei luoghi poco propizi alla realizzazione e alla felicità che furono - e che restano in diversa misura - il recinto familiare, l'officina o l'ufficio, l'istituzione militare, la clinica, le carceri.


* L'impresa scolastica non ha forse obbedito fino ad oggi a una preoccupazione dominante: migliorare le tecniche di ammaestramento affinché l'animale sia redditizio?


* Ecco quattro muri. Il consenso generale decide che, con ipocriti riguardi, vi saremo imprigionati, costretti, colpevolizzati, giudicati, onorati, puniti, umiliati, etichettati, manipolati, vezzeggiati, violentati, consolati, trattati come aborti che questuano aiuto e assistenza. Di che cosa vi lamentate? obbietteranno gli autori di leggi e decreti. Non è forse il modo migliore di iniziare i novellini alle regole immutabili che regolano il mondo e l'esistenza? Senza dubbio. Ma perché i giovani dovrebbero ancora accontentarsi di una società senza gioia ed avvenire, che gli stessi adulti sopportano ormai rassegnati, con un'acrimonia e un malessere crescenti?

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996