lunedì 29 settembre 2008

Una scuola dove la vita si annoia insegna solo la barbarie

* Il mondo è cambiato più in trent'anni che in tremila. Mai - perlomeno nell'Europa occidentale - la sensibilità dei ragazzi ha tanto deviato dai vecchi istinti predatori che fecero dell'animale umano la più feroce e la più distruttrice delle specie terrestri.

* Il nostro sistema educativo si inorgoglisce a ragione di aver risposto con efficacia alle esigenze di una società patriarcale un tempo onnipotente, tenendo conto di un solo dettaglio: che una tale gloria è al contempo ripugnante e superata.

* Bisogna davvero coltivare la stupidità con una prolissità ministeriale per non revocare immediatamente un insegnamento che il passato impasta ancora con i lieviti ignobili del dispotismo, del lavoro forzato, della disciplina militare e di quell'astrazione, la cui etimologia - abstrahere, tirar fuori da - esprime bene l'esilio da sè, la separazione dalla vita.
Finalmente agonizza quella società in cui si entrava vivi solo per imparare a morire.

* I pedagoghi dissertavano sul fallimento scolastico senza preoccuparsi dello scacchiere su cui si tramava l'esistenza quotidiana, giocata ad ogni passo nell'angoscia del merito e del demerito, della perdita e del profitto, dell'onore e del disonore. Una costernante banalità regnava nelle idee e nei comportamenti: c'erano i forti e i deboli, i ricchi e i poveri, i furbi e gli imbecilli, i fortunati e gli sfortunati.
Certo la prospettiva di dover passare la propria vita in una fabbrica o in un ufficio a guadagnare il denaro del mese non era atta ad esaltare i sogni di felicità e di armonia che l'infanzia nutriva. Essa produceva in serie degli adulti insoddisfatti, frustrati di un destino che avrebbero desiderato più generoso.

* L'insopportabile predominanza degli interessi finanziari sul desiderio di vivere non riesce più a ingannare. Il tintinnio quotidiano dell'esca del guadagno risuona assurdamente nella misura in cui il denaro si svaluta, che un fallimento comune livella capitalismo di Stato e capitalismo privato, e che scivolano verso la fogna del passato i valori patriarcali del padrone e dello schiavo, le ideologie di destra e di sinistra, il collettivismo e il liberalismo, tutto ciò che si è edificato sullo stupro della natura terrestre e della natura umana in nome della sacrosanta merce.

* La noia genera la violenza, la bruttezza degli edifici incita al vandalismo, le costruzioni moderne, cementate dal disprezzo degli impresari immobiliari, si screpolano, crollano, prendono fuoco, secondo l'usura programmata dei loro materiali di paccottiglia.

* La scuola è al centro di una zona di turbolenza dove gli anni giovanili rovinano nella tetraggine, dove la nevrosi coniugata dell'insegnante e dell'insegnato imprime il suo movimento al bilanciere della rassegnazione e della rivolta, della frustrazione e della rabbia. Essa è anche il luogo privilegiato di una rinascita. Porta in gestazione la coscienza che è al centro della nostra epoca: assicurare la priorità di ciò che vive sull'economia di sopravvivenza.
Essa detiene la chiave dei sogni in una società senza sogno: la risoluzione di cancellare la noia sotto il rigoglio di un paesaggio in cui la volontà di essere felici bandirà le fabbriche inquinanti, l'agricoltura intensiva, le prigioni di ogni genere, i laboratori di affari sospetti, i depositi di prodotti sofisticati, e quelle cattedre di verità politiche, burocratiche, ecclesiastiche che chiamano lo spirito a meccanizzare il corpo e lo condannano a claudicare nell'inumano.

* Ormai, ogni bambino, ogni adolescente, ogni adulto si trova all'incrocio di una scelta: sfinirsi in un mondo sfinito dalla logica della redditività ad ogni costo, o creare la propria vita creando un ambiente che ne assicuri la pienezza e l'armonia. Perchè l'esistenza quotidiana non può essere confusa più a lungo con questa sopravvivenza adattativa a cui l'hanno ridotta gli uomini che producono la merce e dalla quale sono prodotti.
Noi non vogliamo più una scuola in cui si impara a sopravvivere disimparando a vivere.

* Che l'infanzia sia caduta nella trappola di una scuola che ha ucciso il meraviglioso invece di esaltarlo, indica abbastanza in quale urgenza si trovi l'insegnamento, se non vuole cadere in seguito nella barbarie della noia, di creare un mondo di cui sia permesso meravigliarsi.
Guardatevi tuttavia dall'attendere aiuto o panacea da qualche salvatore supremo. Sarebbe vano, sicuramente, accordare credito a un governo, a una fazione politica, accozzaglia di gente preoccupata di sostenere prima di tutto l'interesse del loro potere vacillante; e nemmeno a tribuni e maitres à penser, personaggi massmediatici che moltiplicano la loro immagine per scongiurare la nullità che riflette lo specchio della loro esistenza quotidiana. Ma sarebbe soprattutto andare contro se stessi, inginocchiarsi come un questuante, un assistito, un inferiore, mentre l'educazione deve avere per scopo l'autonomia, l'indipendenza, la creazione di sè, senza la quale non vi è vero aiuto reciproco, autentica solidarietà, collettività senza oppressione.
Una società che non ha altra risposta alla miseria che il clientelismo, la carità e l'arte di arrangiarsi è una società mafiosa. Mettere la scuola sotto il segno della competizione e incitare alla corruzione, che è la morale degli affari.
La sola assistenza degna di un essere umano è quella di cui ha bisogno per muoversi con i propri mezzi. Se la scuola non insegna a battersi per la volontà di vivere e non per la volontà di potenza, essa condannerà intere generazioni alla rassegnazione, alla servitù e alla rivolta suicida. Rovescerà in soffio di morte e di barbarie ciò che ciascuno possiede in sè di più vivo e di più umano.
Io non immagino altro progetto educativo che quello di formarsi nell'amore e nella conoscenza di ciò che è vivo. Al di fuori di una scuola della vita dove la vita si trova e si cerca senza fine - dall'arte di amare fino alle matematiche speculative - non vi è che la noia e il peso morto di un passato totalitario.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

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