* Un cadavere domina la società: il cadavere del lavoro. Tutte le potenze del pianeta si sono alleate per difendere questo dominio: il Papa e la Banca mondiale, Tony Blair e Jörg Haider, D'Alema e Berlusconi, sindacati e imprenditori, ecologisti tedeschi e socialisti francesi. Tutti costoro conoscono soltanto una parola d'ordine: lavoro, lavoro, lavoro!
Chi non ha ancora del tutto disimparato a pensare si rende facilmente conto che questa posizione è del tutto infondata. Infatti la società dominata dal lavoro non sta vivendo una crisi passeggera, ma si scontra con i suoi limiti assoluti. In seguito alla rivoluzione microelettronica, la produzione di ricchezza si è sempre più separata dall'utilizzo di forza-lavoro umana in una misura che fino a pochi decenni fa era immaginabile soltanto nei romanzi di fantascienza.
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Chi non lavora non mangia! Questo cinico principio è tutt'oggi in vigore, anzi, oggi più che mai proprio perchè sta diventando del tutto obsoleto.
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Proprio nel momento della sua morte, il lavoro getta la maschera e si rivela come una potenza totalitaria, che non tollera nessun altro dio al di fuori di sè. Il lavoro determina il modo di pensare e di agire fin nelle minime pieghe della vita quotidiana e nei più intimi recessi della psiche.
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E l'idea che è meglio avere un lavoro «qualsiasi» piuttosto che non averne uno è ormai diventata una professione di fede imposta a tutti.
Quanto più è evidente che la società del lavoro è veramente giunta alla fine, tanto più velocemente questo fatto viene rimosso dalla coscienza collettiva. Per quanto diversi siano i metodi di rimozione, hanno pur sempre un denominatore comune: il dato di fatto, valido globalmente, che il lavoro si sta rivelando un fine in sè irrazionale e obsoleto, viene ridefinito con ostinazione maniacale come il fallimento di individui, di imprese o di «siti produttivi». Il limite oggettivo del lavoro deve apparire come un problema soggettivo degli esclusi.
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Chi non «si adatta» senza condizioni, e senza tenere conto delle perdite, al corso cieco della concorrenza totale è punito dalla logica del profitto. Le promesse di oggi sono i falliti di domani.
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I tre quarti della popolazione mondiale sono già stati più o meno dichiarati fuori corso.
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Anche in Europa si sta diffondendo da tempo il panico sociale. I cavalieri dalla trista figura nella politica e nel management continuano però, se possibile ancora più ostinatamente, la loro crociata nel nome del dio «lavoro».
Tratto da Gruppo Krisis, Manifesto contro il lavoro, DeriveApprodi, 2003
Chi non ha ancora del tutto disimparato a pensare si rende facilmente conto che questa posizione è del tutto infondata. Infatti la società dominata dal lavoro non sta vivendo una crisi passeggera, ma si scontra con i suoi limiti assoluti. In seguito alla rivoluzione microelettronica, la produzione di ricchezza si è sempre più separata dall'utilizzo di forza-lavoro umana in una misura che fino a pochi decenni fa era immaginabile soltanto nei romanzi di fantascienza.
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Chi non lavora non mangia! Questo cinico principio è tutt'oggi in vigore, anzi, oggi più che mai proprio perchè sta diventando del tutto obsoleto.
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Proprio nel momento della sua morte, il lavoro getta la maschera e si rivela come una potenza totalitaria, che non tollera nessun altro dio al di fuori di sè. Il lavoro determina il modo di pensare e di agire fin nelle minime pieghe della vita quotidiana e nei più intimi recessi della psiche.
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E l'idea che è meglio avere un lavoro «qualsiasi» piuttosto che non averne uno è ormai diventata una professione di fede imposta a tutti.
Quanto più è evidente che la società del lavoro è veramente giunta alla fine, tanto più velocemente questo fatto viene rimosso dalla coscienza collettiva. Per quanto diversi siano i metodi di rimozione, hanno pur sempre un denominatore comune: il dato di fatto, valido globalmente, che il lavoro si sta rivelando un fine in sè irrazionale e obsoleto, viene ridefinito con ostinazione maniacale come il fallimento di individui, di imprese o di «siti produttivi». Il limite oggettivo del lavoro deve apparire come un problema soggettivo degli esclusi.
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Chi non «si adatta» senza condizioni, e senza tenere conto delle perdite, al corso cieco della concorrenza totale è punito dalla logica del profitto. Le promesse di oggi sono i falliti di domani.
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I tre quarti della popolazione mondiale sono già stati più o meno dichiarati fuori corso.
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Anche in Europa si sta diffondendo da tempo il panico sociale. I cavalieri dalla trista figura nella politica e nel management continuano però, se possibile ancora più ostinatamente, la loro crociata nel nome del dio «lavoro».
Tratto da Gruppo Krisis, Manifesto contro il lavoro, DeriveApprodi, 2003
3 commenti:
ciao titus,
io personalmete mi sono limitato a comprare tre spille al concerto di sabato con scritto "i hate work" "fuck you" e "i hate god".
A modo loro messe una sotto l'altra esprimono il concetto che tu hai così ben descritto qui sopra.
PS: L'altra volta pensavo che quello della foto fossi tu. Velo pietoso ti prego sulla cosa, l'ho realizzato il giorno dopo quanto ero coglione, quando sono andato a casa di un lutherblissettiano.
a questo punto voglio sapere quale concerto hai visto...
e comunque la foto ha tratto in inganno molti...
sai, io sono poco fotogenico! ahaha!
"il concetto che tu hai così ben descritto qui sopra"....magari l'avessi scritto io....
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