Ancora agghiacciato e incazzato, copio/incollo l'ennesimo esempio di come le nostre linde facciate democratiche nascondano sempre più spesso mostri autoritari, ai quali, per ragioni fin troppo evidenti, viene affidato l'apparato repressivo: le forze dell'ordine.
Con questo appellativo, esplicito quanto un chiodo nel cervello, si fregiano personaggi depravati, spregevoli, pronti a sospendere le più basilari norme etico-morali, in nome di un "sissignore" da pronunciare impettiti.
L'essere umano è considerato alla stregua dello scarafaggio che infesta la nostra cantina. Con lo stesso vigore ci si accanisce contro di esso, braccandolo nell'angolo e colpendolo alle spalle.
Figli di case e famiglie deviate, e conseguentemente entrati nel circolo vizioso della caserma, ove la devozione più incondizionata alla disciplina e all'obbedienza fanno scuola anche per altri settori della società (dalla scuola, al carcere, all'ospedale), questi beceri individui, premiati per la loro fedeltà al dio-patria con tanto di manganello, pistola e manette, forti proprio di questo riconoscimento, fanno il brutto e il cattivo tempo nelle più svariate località della nostrana penisola.
Io ho la nausea, se qualcuno ne ha voglia, commenti lui.
Con questo appellativo, esplicito quanto un chiodo nel cervello, si fregiano personaggi depravati, spregevoli, pronti a sospendere le più basilari norme etico-morali, in nome di un "sissignore" da pronunciare impettiti.
L'essere umano è considerato alla stregua dello scarafaggio che infesta la nostra cantina. Con lo stesso vigore ci si accanisce contro di esso, braccandolo nell'angolo e colpendolo alle spalle.
Figli di case e famiglie deviate, e conseguentemente entrati nel circolo vizioso della caserma, ove la devozione più incondizionata alla disciplina e all'obbedienza fanno scuola anche per altri settori della società (dalla scuola, al carcere, all'ospedale), questi beceri individui, premiati per la loro fedeltà al dio-patria con tanto di manganello, pistola e manette, forti proprio di questo riconoscimento, fanno il brutto e il cattivo tempo nelle più svariate località della nostrana penisola.
Io ho la nausea, se qualcuno ne ha voglia, commenti lui.
Una Bolzaneto rom a Bussolengo (Verona)
Venerdì 5 settembre 2008, ore 12. Tre famiglie parcheggiano le roulotte nel piazzale Vittorio Veneto, a Bussolengo [Verona]. Le famiglie sono formate da Angelo e Sonia Campos con i loro cinque figli [quattro minorenni], dal figlio maggiorenne della coppia con la moglie e altri due minori, infine dal cognato Christian Hudorovich con la sua compagna e i loro tre bambini. Tra le roulotte parcheggiate c'è già quella di Denis Rossetto, un loro amico.
Sono tutti cittadini italiani di origine rom. Quello che accade dopo lo racconta Cristian, che ha trentotto anni ed è nato a San Giovanni Valdarno [Arezzo]. Cristian vive a Busto Arsizio [Varese] ed è un predicatore evangelista tra le comunità rom e sinte della Lombardia. Abbiamo parlato al telefono con lui grazie all'aiuto di Sergio Suffer dell'associazione Nevo Gipen [Nuova vita] di Brescia, che aderisce alla rete nazionale «Federazione rom e sinti insieme». «Stavamo preparando il pranzo, ed è arrivata una pattuglia di vigili urbani – racconta Cristian – per dirci di sgomberare entro un paio di ore. Abbiamo risposto che avremmo mangiato e che saremmo subito ripartiti. Dopo alcuni minuti arrivano due carabinieri. Ci dicono di sgomberare subito. Mio cognato chiede se quella era una minaccia. Poi cominciano a picchiarci, minorenni compresi».
La voce si incrina per l'emozione: «Hanno subito tentato di ammanettare Angelo prosegue Cristian – Mia sorella, sconvolta, ha cominciato a chiedere aiuto urlando ‘non abbiamo fatto nulla'. Il carabiniere più basso ha cominciato allora a picchiare in testa mia sorella con pugni e calci fino a farla sanguinare. I bambini si sono messi a piangere. È intervenuto per difenderci anche Denis.
‘Stai zitta puttana', ha urlato più volte uno dei carabinieri a mia figlia di nove anni. E mentre dicevano a me di farla stare zitta ‘altrimenti l'ammazziamo di botte' mi hanno riempito di calci. A Marco, il figlio di nove anni di mia sorella, hanno spezzato tre denti... Subito dopo sono arrivate altre pattuglie: tra loro un uomo in borghese, alto circa un metro e settanta, calvo: lo chiamavano maresciallo. Sono riuscito a prendere il mio telefono, ricordo bene l'ora, le 14,05, e ho chiamato il 113 chiedendo disperato all'operatore di aiutarci perché alcuni carabinieri ci stavano picchiando. Con violenza mi hanno strappato il telefono e lo hanno spaccato. Angelo è riuscito a scappare. È stato fermato e arrestato, prima che riuscisse ad arrivare in questura. Io e la mia compagna, insieme a mia sorella, Angelo e due dei loro figli, di sedici e diciassette anni, siamo stati portati nella caserma di Bussolengo dei carabinieri».
«Appena siamo entrati,erano da poco passate le le due – dice Cristian – hanno chiuso le porte e le finestre. Ci hanno ammanettati e fatti sdraiare per terra. Oltre ai calci e i pugni, hanno cominciato a usare il manganello, anche sul volto... Mia sorella e i ragazzi perdevano molto sangue. Uno dei carabinieri ha urlato alla mia compagna: ‘Mettiti in ginocchio e pulisci quel sangue bastardo'. Ho implorato che si fermassero, dicevo che sono un predicatore evangelista, mi hanno colpito con il manganello incrinandomi una costola e hanno urlato alla mia compagna ‘Devi dire, io sono una puttana', cosa che lei, piangendo, ha fatto più volte».
Continua il racconto Giorgio, che ha diciassette anni ed è uno dei figli di Angelo: «Un carabiniere ha immobilizzato me e mio fratello Michele, sedici anni. Hanno portato una bacinella grande, con cinque-sei litri di acqua. Ogni dieci minuti, per almeno un'ora, ci hanno immerso completamente la testa nel secchio per quindici secondi. Uno dei carabiniere in borghese ha filmato la scena con il telefonino. Poi un altro si è denudato e ha detto ‘fammi un bocchino'».
Alle 19 circa, dopo cinque ore, finisce l'incubo e tutti vengono rilasciati, tranne Angelo e Sonia Campos e Denis Rossetto, accusati di resistenza a pubblico ufficiale. Giorgio e Michele, prima di essere rilasciati, sono trasferiti alla caserma di Peschiera del Grada per rilasciare le impronte. Cristian con la compagna e i ragazzi vanno a farsi medicare all'ospedale di Desenzano [Brescia].
Sabato mattina la prima udienza per direttissima contro i tre «accusati», che avevano evidenti difficoltà a camminare per le violenze. «Con molti familiari e amici siamo andati al tribunale di Verona – dice ancora Cristian – L'avvocato ci ha detto che potrebbero restare nel carcere di Verona per tre anni». Nel fine settimana la notizia appare su alcuni siti, in particolare Sucardrom.blogspot.com. La stampa nazionale e locale non scrive nulla, salvo l'Arena di Verona. La Camera del lavoro di Brescia e quella di Verona, hanno messo a disposizione alcuni avvocati per sostenere il lavoro di Nevo Gipen.
Tratto da carta.org
Non posso far altro che ribadire:
Sono tutti cittadini italiani di origine rom. Quello che accade dopo lo racconta Cristian, che ha trentotto anni ed è nato a San Giovanni Valdarno [Arezzo]. Cristian vive a Busto Arsizio [Varese] ed è un predicatore evangelista tra le comunità rom e sinte della Lombardia. Abbiamo parlato al telefono con lui grazie all'aiuto di Sergio Suffer dell'associazione Nevo Gipen [Nuova vita] di Brescia, che aderisce alla rete nazionale «Federazione rom e sinti insieme». «Stavamo preparando il pranzo, ed è arrivata una pattuglia di vigili urbani – racconta Cristian – per dirci di sgomberare entro un paio di ore. Abbiamo risposto che avremmo mangiato e che saremmo subito ripartiti. Dopo alcuni minuti arrivano due carabinieri. Ci dicono di sgomberare subito. Mio cognato chiede se quella era una minaccia. Poi cominciano a picchiarci, minorenni compresi».
La voce si incrina per l'emozione: «Hanno subito tentato di ammanettare Angelo prosegue Cristian – Mia sorella, sconvolta, ha cominciato a chiedere aiuto urlando ‘non abbiamo fatto nulla'. Il carabiniere più basso ha cominciato allora a picchiare in testa mia sorella con pugni e calci fino a farla sanguinare. I bambini si sono messi a piangere. È intervenuto per difenderci anche Denis.
‘Stai zitta puttana', ha urlato più volte uno dei carabinieri a mia figlia di nove anni. E mentre dicevano a me di farla stare zitta ‘altrimenti l'ammazziamo di botte' mi hanno riempito di calci. A Marco, il figlio di nove anni di mia sorella, hanno spezzato tre denti... Subito dopo sono arrivate altre pattuglie: tra loro un uomo in borghese, alto circa un metro e settanta, calvo: lo chiamavano maresciallo. Sono riuscito a prendere il mio telefono, ricordo bene l'ora, le 14,05, e ho chiamato il 113 chiedendo disperato all'operatore di aiutarci perché alcuni carabinieri ci stavano picchiando. Con violenza mi hanno strappato il telefono e lo hanno spaccato. Angelo è riuscito a scappare. È stato fermato e arrestato, prima che riuscisse ad arrivare in questura. Io e la mia compagna, insieme a mia sorella, Angelo e due dei loro figli, di sedici e diciassette anni, siamo stati portati nella caserma di Bussolengo dei carabinieri».
«Appena siamo entrati,erano da poco passate le le due – dice Cristian – hanno chiuso le porte e le finestre. Ci hanno ammanettati e fatti sdraiare per terra. Oltre ai calci e i pugni, hanno cominciato a usare il manganello, anche sul volto... Mia sorella e i ragazzi perdevano molto sangue. Uno dei carabinieri ha urlato alla mia compagna: ‘Mettiti in ginocchio e pulisci quel sangue bastardo'. Ho implorato che si fermassero, dicevo che sono un predicatore evangelista, mi hanno colpito con il manganello incrinandomi una costola e hanno urlato alla mia compagna ‘Devi dire, io sono una puttana', cosa che lei, piangendo, ha fatto più volte».
Continua il racconto Giorgio, che ha diciassette anni ed è uno dei figli di Angelo: «Un carabiniere ha immobilizzato me e mio fratello Michele, sedici anni. Hanno portato una bacinella grande, con cinque-sei litri di acqua. Ogni dieci minuti, per almeno un'ora, ci hanno immerso completamente la testa nel secchio per quindici secondi. Uno dei carabiniere in borghese ha filmato la scena con il telefonino. Poi un altro si è denudato e ha detto ‘fammi un bocchino'».
Alle 19 circa, dopo cinque ore, finisce l'incubo e tutti vengono rilasciati, tranne Angelo e Sonia Campos e Denis Rossetto, accusati di resistenza a pubblico ufficiale. Giorgio e Michele, prima di essere rilasciati, sono trasferiti alla caserma di Peschiera del Grada per rilasciare le impronte. Cristian con la compagna e i ragazzi vanno a farsi medicare all'ospedale di Desenzano [Brescia].
Sabato mattina la prima udienza per direttissima contro i tre «accusati», che avevano evidenti difficoltà a camminare per le violenze. «Con molti familiari e amici siamo andati al tribunale di Verona – dice ancora Cristian – L'avvocato ci ha detto che potrebbero restare nel carcere di Verona per tre anni». Nel fine settimana la notizia appare su alcuni siti, in particolare Sucardrom.blogspot.com. La stampa nazionale e locale non scrive nulla, salvo l'Arena di Verona. La Camera del lavoro di Brescia e quella di Verona, hanno messo a disposizione alcuni avvocati per sostenere il lavoro di Nevo Gipen.
Tratto da carta.org
Non posso far altro che ribadire:
5 commenti:
Bravissimo, ho linkato i blogger conosciuti che a oggi ne avevano parlato, diffondere questa notizia é meritorio!
Grazie mille per la fiducia che mi hai concesso ad occhi chiusi.
tommi
io avevo letto dal russo.
c'è poco da fare, gli sbirri alla fine sono fascisti, punto. Magari non tutti, ma quasi.
..effettivamente vengono proprio i brividi
È chiaro, anche se non pubblico, il lavaggio mentale che criminali in giacca e cravatta fanno di questa ideologia d'intolleranza che ci sta attraversando, e noi ne siamo testimoni quasi impotenti, sui questurini, sui carabinieri e vigli urbani.
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