Visualizzazione post con etichetta guerre. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta guerre. Mostra tutti i post

domenica 6 giugno 2010

Testimonianze dalla Freedom Flotilla

Ieri sera al Festival Sociale delle Culture Antifasciste due mediattivisti italiani della Freedom Flotilla, Manuel Zani e Manolo Luppichini, sono intervenuti per narrare e condividere la vicenda dell'aggressione israeliana e i giorni vissuti nel, tristemente famoso, carcere di Beer Sheva.
Da ascoltare!!


1° Parte




2° Parte




Altre testimonianze.

giovedì 3 giugno 2010

Sempre dalla parte sbagliata



Oggi a Ginevra il Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU ha approvato una risoluzione al fine di organizzare una commissione di inchiesta per indagare sulle violazioni del diritto internazionale derivanti dagli attacchi israeliani contro la freedom flotilla.
La risoluzione invita inoltre Israele a revocare immediatamente l'assedio di Gaza e negli altri territori occupati e condanna fermamente "l'attacco oltraggioso da parte delle flotte israeliane contro la flottiglia di navi umanitarie". Non che io mi fidi dell'ONU.
Ovviamente l'Italia ha preferito non condannare l'azione militare, illegale, omicida dell'esercito israeliano e al fianco di Paesi bassi e Stati Uniti, ha votato contro tale risoluzione.
Frattini ribadisce la fiducia incondizionata in una fantomatica inchiesta militare israeliana e non si pone nemmeno il problema che sei suoi concittadini siano stati sequestrati illegalmente assieme ai circa 700 attivisti. Oltretutto al contrario di quanto si desume dai tg, i pacifisti non sono stati rilasciati, bensì espulsi per decreto come se loro stessi avessero chiesto di entrare in Israele.
Secondo il governo israeliano, dato l'embargo imposto ai territori palestinesi gli attivisti e le loro flotte sarebbero dovute prima attraccare in Israele, affinchè venissero controllati gli aiuti umanitari e selezionati nel rispetto delle proprie leggi.
Insomma Israele attacca una flotta di pacifisti arrivati da ogni parte del globo, ne uccide almeno una decina, in acque internazionali, impone il blocco di Gaza da più di tre anni, costruisce muri infiniti che escludono i palestinesi e li recludono nella miseria e nella sofferenza come in un carcere a cielo aperto e vuole decidere quali aiuti possono entrare quali no (e ci sarebbe molto altro da dire, purtroppo).
Questo è un comportamento da governo terrorista che viola qualsiasi norma di diritto internazionale e agisce nella serena impunità. E gli ultra ortodossi festeggiano l'assassinio di uomini e donne che lottavano ogni giorno per far sì che il mondo fosse un pò più vivibile anche per i più deboli della terra.

Un articolo del 2008 che rende l'idea di come si viva assediati.

giovedì 4 marzo 2010

Effetti collaterali?


2 o 3 nuovi casi al giorno.
L'esercito statunitense non solo nega di aver usato armi in grado di provocare simili danni (uranio impoverito?) ma nega persino che vi sia un aumento di malformazioni natali in seguito all'attacco di Fallujah di sei anni fa.
Commenti?

Qui e qui altri articoli e qua un altro video, tutti con immagini che potrebbero turbarvi.

lunedì 15 febbraio 2010

Piombo Fuso


Interessante documentario di Current Tv su quel massacro di civili palestinesi che è stata l'operazione Piombo Fuso a cavallo tra il 2008 e il 2009.

venerdì 25 settembre 2009

Servizi segreti, 'ndrangheta e rifiuti tossici


*cercate di leggervi tutto l'articolo. ho evitato apposta di mettere solo il link*

fonte: L'espresso

L'ex boss della 'ndrangheta Francesco Fonti è soddisfatto e amareggiato allo stesso tempo. "Per anni nessuno ha voluto ascoltare quello che dicevo ai magistrati. Ho sempre ammesso di essermi occupato dell'affondamento di navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi. Ho indicato dove cercare: al largo di Cetraro, nel punto in cui il 12 settembre la Regione Calabria e la Procura di Paola hanno trovato a 480 metri di profondità un mercantile con bidoni nella stiva. Eppure, anche oggi che tutti mi riconoscono attendibile, devo affrontare una situazione assurda: vivo nascosto, senza protezione, con il pericolo che mi cerchino sia la cosca a cui appartenevo, sia i pezzi di Stato che usavano me e altri 'ndranghetisti come manovalanza". L'altra sera, aggiunge Fonti, "mi ha telefonato Vincenzo Macrì, il consigliere della Direzione nazionale antimafia. Ha detto: "Speriamo che ora non ci ammazzino tutti". Ecco di cosa stiamo parlando. Di vicende che puntano dritte al cuore della malavita internazionale e delle istituzioni". Nonostante questo, Fonti, trafficante di droga condannato a 50 anni di carcere, poi diventato collaboratore di giustizia, si sente sereno: "La mia è stata una scelta di vita: mi sono pentito perché ho avuto ribrezzo di quanto fatto da malavitoso, dopodiché succeda quel che deve succedere". Ecco perché non intende restare in silenzio. "Sono tanti i retroscena da chiarire", assicura. Tantopiù dopo sabato, quando è stato annunciato il ritrovamento lungo la costa cosentina della nave con i bidoni lunga circa 120 metri e larga una ventina: "In questo clima apparentemente più disposto alla ricerca della verità, voglio fornire un mio ulteriore contributo. In totale trasparenza. Senza chiedere niente in cambio, tranne il rispetto e la tutela della mia persona". Con tale premessa, Fonti squaderna storie di gravità eccezionale e con particolari che, ovviamente, dovranno essere vagliati dagli investigatori.

Il suo racconto parte dal 1992, quando l'ex boss spiega di avere affondato le navi Cunski, Yvonne A e Voriais Sporadais dietro indicazione dell'armatore Ignazio Messina. "Nel dossier che ho depositato alla Direzione nazionale antimafia (pubblicato nel 2005 dal nostro settimanale), ho scritto che in quell'occasione abbiamo inviato uomini del clan Muto al largo di Cetraro per far calare a picco la Cunski, mentre ho precisato che la Yvonne A era stata affondata a Maratea", dice Fonti: "Quanto alla Voriais Sporadais, indicai che a bordo aveva 75 bidoni di sostanze tossiche, ma non segnalai il punto esatto dell'affondamento. Oggi voglio precisare che la portammo al largo di Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, sulla costa jonica, e che a occuparsi materialmente dell'operazione fu il boss della zona Natale Iamonte ". Di più: "Lo stesso Iamonte", prosegue Fonti, "si è dedicato spesso allo smaltimento in mare di scorie tossiche. Specialmente quelle che provenivano da ditte chimiche della Lombardia". Nel caso della Voriais Sporadais, precisa, accadde tutto in una notte autunnale del 1992: "Io e il figlio di Natale Iamonte, di cui non ricordo il nome, salimmo sul motoscafo con un terzo 'ndranghetista che guidava e aveva una cassetta di candelotti di dinamite. Arrivammo al limite delle acque territoriali, montammo sopra la nave, facemmo portare a riva il capitano e l'equipaggio, dopodiché piazzammo i candelotti a prua e sparimmo indisturbati".

Fonti non ha problemi ad ammetterlo: "Era una procedura facile e abituale. Ho detto e ribadisco in totale tranquillità che sui fondali della Calabria ci sono circa 30 navi". E non parla per sentito dire: "Io ne ho affondate tre, ma ogni anno al santuario di Polsi (provincia di Reggio Calabria) si svolgeva la riunione plenaria della 'ndrangheta, dove i capi bastone riassumevano le attività svolte nei territori di loro competenza. Proprio in queste occasioni, ho sentito descrivere l'affondamento di almeno tre navi nell'area tra Scilla e Cariddi, di altre presso Tropea, di altre ancora vicino a Crotone. E non mi spingo oltre per non essere impreciso". Ciò che invece Fonti riferisce con certezza, è il sistema che regolava la sparizione delle navi in fondo al Mediterraneo. "Il mio filtro con il mondo della politica è stato, fin dal 1978, un agente del Sismi che si presentava con il nome Pino. Un trentenne atletico, alto circa un metro e ottanta con i capelli castani ben pettinati all'indietro, presentatomi nella Capitale da Guido Giannettini, che alla fine degli anni Sessanta aveva cercato di blandirmi per strapparmi informazioni sulla gerarchia della 'ndrangheta. Funzionava così: l'agente Pino contattava a Reggio Calabria la cosca De Stefano, la quale informava il mio capo Romeo, che a sua volta mi faceva andare all'hotel Palace di Roma, in via Nazionale. Da lì telefonavo alla segreteria del Sismi dicendo: Sono Ciccio e devo parlare con Pino. Poi venivo chiamato al numero dell'albergo, e avveniva l'incontro" Il contenuto degli appuntamenti, era sempre simile. "L'agente Pino mi indicava la quantità di scorie che dovevamo far sparire ", spiega Fonti, "e mi chiedeva se avessimo la possibilità immediata di agire". La maggior parte delle volte, la risposta era positiva. Ed era un ottimo affare: "Si partiva da 4 miliardi di vecchie lire per un carico, e si arrivava fino a un massimo di 30". Soldi che venivano puntualmente versati a Lugano, presso il conto Whisky all'agenzia Aeroporto della banca Ubs, o in alcune banche di Cipro, Malta, Vaduz e Singapore. Tutte operazioni che svolgevamo grazie alla consulenza segreta del banchiere Valentino Foti, con cui avevamo un cinico rapporto di reciproca convenienza ". Quanto ai politici che stavano alle spalle dell'agente Pino, secondo Fonti, sarebbero nomi noti della cronaca italiana. "Mi incontrai più volte per gestire il traffico e la sparizione delle scorie pericolose con Riccardo Misasi, l'uomo forte calabrese della Democrazia cristiana", dice, "il quale ci indicava se i carichi dovessero essere affondati o seppelliti in territorio italiano o straniero. La 'ndrangheta, infatti, ha fatto colare a picco carrette del mare davanti al Kenya, alla Somalia e allo Zaire (ex Congo belga), usando capitani di nazionalità italiana o comunque europea, ed equipaggi misti con tunisini, marocchini e albanesi". Rimane l'incontrovertibile fatto, aggiunge Fonti, "che la maggior parte delle navi è stata fatta sparire sui fondali dei nostri mari ". Non soltanto attorno alla Calabria, "ma anche nel tratto davanti a La Spezia e al largo di Livorno, dove Natale Iamonte mi disse che aveva 'sistemato' un carico di scorie tossiche di un'industria farmaceutica del Nord".

E non è finita. Secondo Fonti, un altro politico di primo piano avrebbe avuto un ruolo nel grande affare dei rifiuti pericolosi. "Si tratta dell'ex segretario della Dc Ciriaco De Mita, indicatomi a metà Ottanta da Misasi per trattare in prima persona il prezzo degli smaltimenti richiesti dallo Stato". Stando al pentito, lui e De Mita si sono visti "tre o quattro volte" nell'appartamento del politico a Roma, dove il boss fu accolto "con una fredda gentilezza". Nella prima occasione, ricorda, "mi fece sedere in salotto e disse: 'Sono soltanto affari'; frase che mi ha ripetuto negli incontri successivi, come a sottolineare un profondo distacco tra il suo ruolo e il mio". Fatto sta, continua Fonti, che "concordammo i compensi per più smaltimenti ". Poi, quando l'affondamento o l'interramento delle scorie veniva concluso, "l'agente Pino ci segnalava la banca dove potevamo andare a riscuotere i soldi ". Denari accreditati "su conti del signor Michele Sità, un nome di fantasia riportato sui miei documenti falsi. Andavo, recuperavo i contanti e li consegnavo alla famiglia Romeo di San Luca, dove ricevevo la mia parte: circa il 20 per cento del totale".

Da parte sua, l'ex segretario della Dc Ciriaco De Mita nega qualunque rapporto con Fonti: "Smentisco nella maniera più netta", commenta, "le affermazioni di una persona che non credo di conoscere. Porterò questo individuo innanzi al tribunale per rispondere penalmente e civilmente delle sue calunniose dichiarazioni". Vero è, specifica De Mita, "che Misasi era mio amico, e che abitava sotto di me, ma tutto il resto non ha assolutamente senso". Una replica alla quale seguono altri racconti dell'ex boss, che dopo il ritrovamento del mercantile sui fondali di Cetraro, non si limita a occuparsi dei retroscena di casa nostra, ma apre una pagina internazionale finora ignota sulla Somalia: "Avevo rapporti personali", dice, "con Ibno Hartomo, alto funzionario dei servizi segreti indonesiani, il quale contattava me e la 'ndrangheta per smaltire le tonnellate di rifiuti tossici a base di alluminio prodotte dall'industriale russo Oleg Kovalyov, vicino all'allora agente del Kgb Vladimir Putin". Un lavoro impegnativo per le dimensioni, spiega Fonti, gestito in due fasi: "Nella prima caricavamo le navi in Ucraina, a Kiev, le facevamo passare per Gibuti e le dirigevamo a Mogadiscio oppure a Bosaso. Nella seconda fase, invece, le scorie venivano affondate a poche miglia dalla costa somala o scaricate e seppellite nell'entroterra". Facile immaginare le conseguenze che tutto ciò potrebbe avere avuto sulla salute della popolazione. E altrettanto facile, secondo Fonti, è spiegare come le navi potessero superare senza problemi la sorveglianza dei militari italiani, che presidiavano il porto di Bosaso: "Semplicemente si giravano dall'altra parte", racconta il pentito. "Anche perché il ministro socialista Gianni De Michelis, che come ho già raccontato all'Antimafia gestiva assieme a noi le operazioni, era solito riferirci questa frase di Bettino Craxi: 'La spazzatura dev'essere buttata in Somalia, soltanto in Somalia'. Naturale che i militari, in quel clima, obbedissero senza fiatare". Allucinante? Incredibile? Fonti allarga le braccia: "Racconto esclusivamente episodi dei quali sono stato protagonista, e aspetto che qualcuno si esponga a dimostrare il contrario". Magari, aggiunge, "anche su un altro fronte imbarazzante: quello delle auto sulle quali viaggiavo per recuperare, nelle banche straniere, i soldi avuti per gli affondamenti clandestini dei rifiuti radioattivi". Gliele forniva "direttamente il Sismi", dice, "con la mediazione dell'agente Pino. Per salvarmi la vita, in caso di minacce o aggressioni, mi sono segnato il tipo di macchine e le matricole diplomatiche che c'erano sui documenti ". In un caso, "ho usato una Fiat Croma blindata con matricola VL 7214 A, CD-11-01; in un altro ho guidato un'Audi con matricola BG 146-791; e in un altro ancora, ho viaggiato su una Mercedes con matricola BG 454-602. Va da sé, che ci venivano assegnate auto diplomatiche perché non subivano controlli alle frontiere". Ora, dopo queste dichiarazioni, "i magistrati avranno nuovi elementi sui quali lavorare ", conclude Fonti. "Troppo facile e troppo riduttivo", sostiene, "sarebbe credere che tutto si esaurisca con il ritrovamento nel mare calabrese di un mercantile affondato ". Questa, aggiunge, non è la fine della storia: "È l'inizio di un'avventura tra i segreti inconfessabili della nostra nazione. Un salto nel buio dalle conseguenze imprevedibili".

sabato 19 settembre 2009

Breaking news dall'Afghanistan

Reddito medio di un cittadino afghano (statistiche molto ottimistiche del governo): euro 19 al mese.

Reddito mensile di un occupante italiano a Kabul:
Photobucket

via Kelebek

lunedì 14 settembre 2009

La guerra si insegna a scuola

Photobucket

Quando si ritorna dalle "vacanze" la cosa peggiore, si sa, è guardare la posta: bollette, bollette raccomandate, minacce dei gestori etc etc.
Quest'anno però, insieme alle tante bestemmie in busta, mi aspettava anche un anonimo pacco giallo. Dentro, il Vernacoliere.
Ve ne ho già parlato, lo so. Ma di questi tempi assicurarsi trenta pagine di risate al mese non è cosa da poco.
Bene, dentro al numero estivo, oltre alle tonnellate di spietato umorismo livornese e non, trovo un interessante articolo di Maria Turchetto.
Il pezzo della nostra amica inizia raccontando come la decade che sta per terminare (2001-10) sia stata proclamata dall'Onu "decennio internazionale per una cultura di pace e non violenza per i bambini del mondo". Assodata la retorica insita in un'iniziativa del genere, la Turchetto continua poi raccontandoci come già nel 2007 il governo italiano abbia deciso di promuovere gemellaggi di scuole italiane con le scuole in "aree di crisi" (sarebbero le aree di guerra - scrive - ma ormai l'avete capito: GUERRA non si dice più, è tabù). "Obiettivo prioritario del progetto" - si legge nelle linee guida del progetto dove tra gli altri vengono citati anche Gandhi e don Milani - "è quello di diffondere e sviluppare nelle giovani generazioni l'educazione alla pace, alla cooperazione, al rispetto della differenza e delle altre culture, valori sui quali dovrà fondarsi la società del domani".
Con l'avvento del governo Berlusconi, poi, le cose non potevano che peggiorare: il ministero della Difesa, passato nelle mani del colonnello fallito Ignazio La Russa, si è lanciato in una fitta azione di propaganda militare. Risultato: i finanziamenti previsti per il programma "La pace si fa a scuola" vengono prontamente utilizzati dalla regione Lombardia per l'organizzazione di una divertentissima iniziativa: il Training Day.
Copio: Arrivano a scuola i militari, fanno lezioni di tattica e di tiro, vestono i ragazzini con tute mimetiche e li fanno giocare al check point (sapete, quei posti di blocco dove ogni tanto capita di far fuori una bambina - ma tanto "gli afghani sono abituati a questi incidenti" ha commentato testualmente il responsabile delle nostre forze di pace, "un incidente provocato dalle armi è come da noi un incidente stradale"). Alla fine un bel giro sul carroarmato. Yuppi! Militare è bello! Forza bambini, correte ad arruolarvi!*
Il sito ufficiale ci dice che "il Training Day è strutturato come una gara militare per pattuglie grazie alla quale gli studenti possono condividere i Valori positivi che appartengono alle Forze Armate, Corpi dello Stato, Protezione Civile ed ai Gruppi Volontari di Soccorso". Il tutto è preceduto da un corso di formazione "suddiviso in lezioni teoriche (Diritto Umanitario, Cultura Militare, Tecniche e Tattica) ed attività pratiche sul campo".
Fantastiche le motivazioni che hanno spinto ad organizzare una simile infamata: in primis "la necessità alle (?) nostre Forze Armate di ampliare notevolmente la visibilità all’interno della società civile (in particolare nella scuola) e di proporsi quale scelta professionale “alternativa” rispetto a quelle civili", ma anche "il superamento da parte del mondo scolastico di anacronistici preconcetti che ponevano su piani assolutamente incompatibili le Forze Armate e la Scuola".
Per finire, un docente commenta soddisfatto l'evento dell'anno scorso: "il contatto con realtà per lo piu’ sconosciute come Croce Rossa, Protezione Civile, Esercito in un ambito di comune senso di solidarietà e coesione d’intenti, ha “acceso” in ragazzi quello spirito d’appartenenza che oggi, nei giovani, sembra perduto".**


Ora, pur non potendo definirmi uno spassionato pacifista, sono però un convinto antimilitarista. Soprattutto quando a capo dell'Esercito vi è un personaggio del calibro di La Russa.
In ogni caso, una cosa è certa: abbonatevi al Vernacoliere.
Farete del bene a voi e a chi vi circonda.
***


* Ad essere pignoli il progetto è rivolto a studenti delle scuole superiori. Ma cambia poco.

** Se volete approfondire qua c'è un notevole dossier sul caso pubblicato da romperelerighe.

*** No. Non mi pagano.

lunedì 27 luglio 2009

Genealogia della rivolta

Photobucket
Se per cambiamento sociale intendiamo relazioni nuove tra le persone, e di conseguenza anche tra le persone e l'ambiente circostante, è evidente che ciò che chiamiamo lotta non contribuisce assolutamente a promuovere rapporti umani egualitari, fraterni e solidali. Di solito la parola lotta si usa per descrivere due azioni differenti tra di loro. Una ha a che fare con la lotta per la sopravvivenza, la lotta quotidiana per assicurare il sostentamento e la riproduzione della vita, lotta che nelle classi popolari richiede il massimo delle energie. Si tratta di una lotta creativa, per la vita. L'altra accezione, quella più frequente tra attivisti e militanti, rimanda alla lotta come guerra o scontro, destinata all'eliminazione di un nemico reale o inventato. La differenza è sostanziale: mentre la lotta come creazione di vita richiede uno sforzo solidale e reciproco tra gli esseri umani, la lotta come logica dello scontro presuppone la creazione di un dispositivo specializzato nella distruzione.

Questo dispositivo presenta necessariamente le caratteristiche di una macchina da guerra, il suo massimo grado di sviluppo è la burocrazia militare, ma lo ritroviamo anche nelle imprese, nella Chiesa cattolica e nell'apparato statale. Divisione di compiti tra chi comanda e chi ubbidisce, tra coloro che danno ordini e coloro che li eseguono, divisione tra la direzione e la base; istituzione di gerarchie piramidali. Sviluppo di una cultura di guerra che consiste nell'invenzione di un nemico per procedere alla sua distruzione ed eliminazione. Prima o poi questa cultura di guerra smette di essere solo una proiezione verso l'esterno e contamina anche il nostro spazio sociale scatenando la caccia alle streghe. [...]
Non è stato forse il dispositivo di lotta-guerra a essere alla base dell'ascesa del capitalismo? Se il meccanismo di lotta tra nazioni, popoli e classi ha favorito l'ascesa del capitalismo non potremo mai uscire da questo sistema adoperando gli stessi meccanismi, dato che, come lo Stato, questi dispositivi costruiscono relazioni sociali capitalistiche. Creare o mantenere il dispositivo di lotta significa rinforzare il capitalismo e lo Stato. Tutte le rivoluzioni vittoriose hanno creato Stati lì dov'erano in crisi o in decomposizione.
D'altra parte, il concetto di lotta, scontro o guerra, presuppone la polarizzazione della società, divide la società in due. Questa logica binaria incatena la molteplicità del conflitto sociale, lo congela solidificando e omogeneizzando ognuna delle parti in lotta. Possiamo chiamare tutto questo militarismo, fascismo, stalinismo o in qualunque altro modo; quel che è certo è che in un tipo di società congelata, la trasformazione sociale si consuma, diventa impossibile poiché richiede esattamente il contrario: fluidità, movimento, slittamento delle posizioni occupate dalle persone e dai diversi settori sociali.
Una delle caratteristiche della dominazione consiste nell'ancorare ogni persona e ogni collettivo a un luogo. Le caserme sono il paradigma di quella immobilità che ben presto si è trasferita nella fabbrica taylorista-fordista. Lì nulla fluisce, niente può cambiare di posto. Il “restare fermi” della maestra detto ai bambini delle scuole sintetizza questa attitudine dei dispositivi di dominio. Diciamo che il dispositivo di lotta distrugge i movimenti sociali, li sterilizza, annulla le loro capacità di movimento. Le élites lo sanno e preferiscono militarizzare le lotte sociali.
Eppure, la lotta è utile perché apre spazi sociali dove i movimenti si sviluppano e crescono, ed è necessaria per frenare le classi dominanti. In questo senso, utilizzare uno stesso termine per riferirci sia alla creazione della vita, alla difesa della vita, sia all'eliminazione di un nemico, crea confusione.
Sarebbe più giusto parlare di guerra o di logica dello scontro per quest'ultimo caso e riservarci il concetto di vita o di speranza per gli sforzi volti a creare un mondo nuovo.
Esiste infine una terza dimensione della lotta: si lotta solo per un breve periodo se per lotta intendiamo lo scontro o la resistenza fisica. Questo breve tempo, che è il tempo delle battaglie, consuma parecchie energie e richiede a sua volta molto tempo e lavoro per riparare i danni subiti, per rimettere in piedi i protagonisti dello scontro. Questo breve tempo di lotta subordina tutta la società o il settore sociale interessato e lo mette al servizio del funzionamento della macchina da guerra. Sia il tempo di preparazione della guerra sia quello dedicato a curare le ferite smettono di essere tempi di ri-produzione della vita, trasformandosi in tempi di produzione per alimentare la macchina da guerra. Insomma la vita si aliena nella distruzione della vita.

Raul Zibechi, Genealogia della rivolta. Argentina. La società in movimento, Luca Sossella Editore, 2003

Cliccando sul titolo del libro troverete il testo completo da scaricare, messo a disposizione dall'editore stesso.

mercoledì 10 giugno 2009

Gheddafi e il camping postcoloniale

Photobucket

E' giunto oggi sul suolo italiano il colonnello Gheddafi.
Molte donne si oppongono a questa visita non gradita. Sottoscrivo anch'io le seguenti parole tratte dalla lettera di donne pubblicata sul sito Storie Migranti.

Al Leader della Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista

(Per conoscenza, alle e ai rappresentati del governo italiano e dell’Unione europea)

Gentile Muammar Gheddafi,

noi non facciamo né vogliamo far parte delle 700 donne che lei ha chiesto di incontrare il 12 giugno durante la sua visita in Italia. Siamo, infatti, donne italiane, di vari paesi europei e africani estremamente preoccupate e scandalizzate per le politiche che il suo Paese, con la complicità dell’Italia e dell’Unione europea, sta attuando nei confronti delle donne e degli uomini di origine africana e non, attualmente presenti in Libia, con l’intenzione di rimanervi per un lavoro o semplicemente di transitarvi per raggiungere l’Europa. Siamo a conoscenza dei continui rastrellamenti, delle deportazioni delle e dei migranti attraverso container blindati verso le frontiere Sud del suo paese, delle violenze, della “vendita” di uomini e donne ai trafficanti, della complicità della sua polizia nel permettere o nell’impedire il transito delle e dei migranti. Ma soprattutto siamo a conoscenza degli innumerevoli campi di concentramento, a volte di lavoro forzato, alcuni finanziati dall’Italia, in cui donne e uomini subiscono violenze di ogni tipo, per mesi, a volte addirittura per anni, prima di subire la deportazione o di essere rilasciati/e. Alcune di noi quei campi li hanno conosciuti e, giunte in Italia, li hanno testimoniati.
Tra tutte le parole e i racconti che abbiamo fatto in varie occasioni, istituzionali e non, o tra tutte le parole e i racconti che abbiamo ascoltato, scegliamo quelli che anche Lei, insieme alle 700 donne che incontrerà, potrà leggere o ascoltare.
[...]
Siamo consapevoli, anche, che Lei e il suo Paese non siete gli unici responsabili di tali politiche, dal momento che gli accordi da Lei sottoscritti con il governo italiano prevedono ingenti finanziamenti da parte dell’Italia affinché esse continuino ad attuarsi e si inaspriscano nei prossimi mesi e anni in modo da bloccare gli arrivi dei migranti sulle coste italiane; dal momento, inoltre, che l’Unione europea, attraverso le sue massime cariche, si è espressa in diverse occasioni a favore di una maggiore collaborazione con il suo Paese per fermare le migrazioni verso l’Europa. Facciamo presente innanzitutto a Lei, però, e per conoscenza alle e ai rappresentati del governo italiano, alle ministre e alle altre rappresentanti del popolo italiano che Lei incontrerà in questa occasione, così come alle e ai rappresentanti dell’Unione europea, una nostra ulteriore consapevolezza: quella per cui fare parte della comunità umana, composta da donne e uomini di diverse parti del mondo, significa condividere le condizioni di possibilità della sua esistenza. Tra queste, la prima e fondamentale, è che ogni donna, ogni uomo, ogni bambino, venga considerato un essere umano e rispettato/a in quanto tale.
Finché tale condizione non verrà considerata da Lei né dalle autorità italiane ed europee noi continueremo a contestare e a combattere le politiche dell’Italia, della Libia e dell’Unione europea che violano costantemente i principi che stanno alla base della sua esistenza e fino a quel momento, quindi, non avremo alcuna voglia di incontrarla ritenendo Lei uno dei principali e diretti responsabili delle pratiche disumane nei confronti di una parte dell’umanità.

Per la versione integrale e per sottoscrivere la lettera clicca qui.
Non è possibile accettare che il nostro governo riservi un trattamento da principino a un dittatore con le mani sporche di sangue.
Ma leggiamo cos'ha detto il colonello appeno sbarcato sulla penisola:
"Con l'Italia di oggi c'e' pace, collaborazione e amicizia. L'Italia e' un Paese molto pacifico tra gli Stati del mondo e condanna il colonialismo. Entrambi condanniamo il fascismo e le aggressioni contro gli altri". "La firma del Trattato di amicizia e l'accordo sugli indennizzi sono il segnale che l'Italia di oggi non e' l'Italia di ieri". "Certo, non guardiamo al valore materiale degli indennizzi, perche' per quello che l'Italia coloniale ha commesso contro il popolo libico non ci sarebbe alcun controvalore". Tuttavia, quell'accordo "e' comunque un segnale che l'Italia condanna il colonialismo e si scusa per quello che e' avvenuto ed e' questo che mi ha permesso di poter venire oggi qui".

Notare bene:
1) L'Italia sarà anche un paese pacifico ma non di certo pacifista;
2) Nonostante l'Italia abbia condannato il colonialismo, esso non è mai finito; quello di oggi ha solo un aspetto che lo rende più difficile da identificare (dovrò fare un altro post sul tema);
3) L'Italia condanna il fascismo solo sulla carta (costituzionale) mentre ritiene legittime le aggressioni perpetrate in nome della civile democrazia occidentale;

L'unica affermazione che condivido con Gheddafi è il fatto che non esista un controvalore adeguato per ricompensare i danni provocati dalle politiche coloniali alla popolazione civile.
Ma non credo sia questo il motivo per cui abbiamo infranto il consueto cerimoniale di accoglienza per un capo di stato riservandogli una tenda in un parco blindato nel centro di Roma.

giovedì 14 maggio 2009

Lego vs. Censura

Photobucket

Sappiamo tutti delle porcherie commesse dagli eserciti durante i conflitti.
Le più tristemente note sono state, ultimamente, quelle perpetrate dagli statunitensi a Guantanamo e nel carcere di Abu Ghraib.
Tutti abbiamo nella memoria quelle terribili immagini: mucchi di corpi nudi incappucciati, cani aizzati contro prigionieri incappucciati, umani incappucciati ed elettrificati, reclusi al guinzaglio costretti a simulare movenze canine, e amenità del genere.

Pochi forse sanno, però, che quegli scatti (e tutte le implicazioni politiche che essi comportavano) divennero di pubblico dominio solo diverso tempo dopo la loro effettiva scoperta, perchè i media si rifiutavano di pubblicarli a causa della loro "natura grafica".
E' questo dunque il ruolo della libera stampa in una moderna società democratica?

E' la stessa domanda che si è fatto l'utente inglese di Flickr e blogger Legofesto, quando ha visto le impressionanti immagini di Guantanamo.
Così, indignato, si è armato di genialità e dei famosi giocattolini colorati, e ha ricreato le stesse immagini (tra cui quelle che ritraevano l'abominevole pratica del waterboarding), sostituendo ai protagonisti in carne e ossa i più innocenti omini gialli.

L'effetto è a dir poco sconvolgente: con un ribaltamento provocatorio, che coniuga candidi giocattoli per bambini e il ricordo della violenza infame e brutale dell'uomo sull'uomo, è riuscito, da un lato, a moltiplicare lo sdegno di fronte alla crudeltà di tali pratiche, dall'altro, a scavalcare con un'agilità (mentale) invidiabile le ipocrite scuse della censura mediatica, legate al controllo totale da parte del potere.

E non basta, perchè il nostro ci ha preso gusto, ha messo su un blog, e continua a tradurre in linguaggio-Lego alcuni degli abusi più eclatanti commessi dalle polizie in giro per il mondo.
Tra le tante, il nostro Legofesto, ha detournato le torture di Abu Ghraib e le recenti violenze sbirresche all'incontro dei G20 a Londra che hanno causato la morte di un uomo.

Nell'improbabilissima speranza che il passatempo di Legofesto non abbia più la materia prima per proseguire, non posso che fargli le mie più sincere congratulazioni!

via Wired

mercoledì 13 maggio 2009

Anarchists against the wall @ XM24 (Bologna)

Photobucket

l’INFOSHOCK dell’XM24
presenta
mercoledi 13 maggio – ore 21

incontro con URI GORDON
QUESTIONE ISRAELO PALESTINESE

Uri Gordon, attivista anarchico israeliano, membro di Anarchici contro il muro, organizzazione che lotta con azioni dirette contro la costruzione del muro tra Israele e Palestina, lavora all’università di Haifa ed è ricercatore presso il dipartimento di politica e relazioni internazionali dell’università di Oxford. E’ tra l’altro autore del libro Anarchy Alive! Anti-authoritarian Politics from Practice to Action (2007)

L’iniziativa e’ organizzata in collaborazione con il Circolo dei Malfattori e il Centro Studi Libertari/Archivio Giuseppe Pinelli di Milano

giovedì 7 maggio 2009

Divide and conquer


E' una vecchia tecnica.
Creare conflitto, destabilizzare, per poi controllare e manipolare meglio la situazione.
Non bastano le bombe, le violenze, i controlli e la presenza sul territorio.
Adesso esportiamo anche il verbo cattolico, lo traduciamo e affidiamo l'opera di proselitismo a dei fottuti soldati ammericani.
Le immagini fanno davvero rabbrividire: militari, circondati da un arsenale non indifferente, che discettano della conversione religiosa della popolazione locale. Mancano solo gli scudi crociati e le alabarde.
Me li immagino già, gonfi di cristiana compassione, prima uccidere un afghano qualunque, poi andare dalla vedova a regalarle una bibbia fresca di traduzione nell'idioma locale.
Shame on you!!!

ps: ho l'influenza. Se nei prossimi giorni dovessero uscire dei post pieni di grugniti e parecchio maleodoranti, preoccupatevi per me.

domenica 19 aprile 2009

La dura vita del migrante

Photobucket
Alla fine approderà in Italia il mercantile Pinar. Dopo giorni in balia della macchina burocratica, i migranti toccheranno la terra siciliana. Ma cosa ne sarà di loro quando giungeranno sulle "nostre" coste? Verranno tutti rispediti a casa loro?
Dopo giorni di sofferenza (evitabile), ben dieci trascorsi in mare e tre sul ponte della nave turca, la loro via crucis non è ancora finita. Vedremo come andrà a finire.. Di certo in un paese come l'Italia dove qualcuno propone di sparare direttamente alle imbarcazioni cariche di "clandestini" prima che esse sfiorino l'occidente civile ed evoluto, temo per il futuro di queste persone.

Riguardo il tema della migrazione invito tutti/e a vedere un film di Andrea Segre,Riccardo Biadene, Dagmawi Yimer dal titolo Come un uomo sulla terra. Con questo documentario i registi sono riusciti a dar voce a chi non ha mai la possibilità di esprimersi. Donne e uomini provenienti da diversi paesi dell'Africa raccontano il loro infinito e sofferente viaggio che intraprendono per raggiungere l'Europa. Ed è molto peggio di quanto chiunque possa immaginarsi. Un viaggio costosissimo, non solo economicamente, e che lascia il segno. Per sempre. Tratta di esseri umani, violenza, carcere, fame, sete, stupri, subiti per lungo tempo, prima di riuscire a raggiungere la terra promessa.
Oltre a sentire raccontare le cose più aberranti che un uomo possa fare ad un altro uomo, le parole che più mi hanno fatto incazzare sono quelle di Frattini. Lui, uomo, bianco, benestante, occidentale, che non ha mai messo il naso fuori dal suo/nostro ufficio, parla degli accordi presi dall'Italia con la Libia. Ma sentirete dalle persone che vivono questi accordi sulla loro pelle cosa essi implichino. Una vergogna incredibile.

mercoledì 25 marzo 2009

1 shot 2 kills

Troppo simpatici questi israeliani!
Si credono migliori di tutti i loro vicini di (quella che potremmo chiamare) casa, in base a una presunta superiorità morale, ideologica, politica e civile.
Poi, con le tasche gonfie di valuta occidentale, armano per benino i loro soldati e li mandano dal tipografo a stampare le nuove "magliette della salute" per tutto l'esercito.


Scommetto che gli stampatori avranno fatto affari...



Queste alcune delle frasi riportate sulle t-shirts:


- "Meglio usare Durex" sotto l'immagine di un bambino palestinese morto.

- "Scommetto che sei stata violentata" dice un soldato israeliano a una donna araba piena di lividi.

- "Non ci calmeremo finchè la morte non confermeremo" esclama un altro gruppo di soldati israeliani disegnati (confermare la morte, in gergo militare, significa sparare alla testa da distanza ravvicinata per essere certi dell'effettivo decesso).

- "Lasciate che ogni madre araba sappia che il destino di suo figlio è nelle mie mani".

venerdì 23 gennaio 2009

Comunicato di Amnesty International

Israele deve rivelare quali armi e munizioni ha usato a Gaza

Amnesty International ha chiesto alle autorità israeliane di rivelare quali armi e munizioni siano state usate durante le
tre settimane della campagna militare iniziata il 27 dicembre.

"Sappiamo che munizioni al fosforo bianco sono state usate in aree civili, sebbene in precedenza le autorità israeliane lo avessero negato" - ha dichiarato Donatella Rovera, che sta guidando la missione d'indagine di Amnesty International a Gaza. "Ora abbiamo prove inconfutabili dell'uso del fosforo bianco, ma i medici che hanno curato i primi feriti non sapevano di cosa si trattasse".

Altre vittime del conflitto hanno ferite che i medici non riescono a curare in modo efficace perché non è chiara la natura delle munizioni che le hanno provocate.

"I medici ci hanno riferito di tipi di ferite nuove e inspiegabili. Alcune vittime degli attacchi aerei israeliani sono arrivate in ospedale con arti carbonizzati e profondamente recisi. I medici che le stanno curando hanno bisogno di sapere quali armi siano state usate":

Il dottor Subhi Skeik, primario della divisione chirurgica dell'ospedale al-Shida, ha dichiarato ai delegati di Amnesty International: "Abbiamo molti pazienti con amputazioni e ricostruzioni vascolari. In casi del genere, normalmente, dopo l'operazione inizia la ripresa. Invece, a distanza di una o due ore, molti di loro sono morti. È drammatico".

"È urgente e vitale che le autori
tà israeliane rivelino tutte le informazioni utili, comprese quelle relative alle armi e alle munizioni usate" - "Non si possono perdere altre vite umane perché i medici non conoscono quale sia l'origine delle ferite e quali complicazioni possano sopraggiungere. Devono essere pienamente informati affinché possano operare in modo efficace per salvare la vita dei loro pazienti" - ha aggiunto Rovera.Il fatto che in precedenza Israele avesse negato l'uso del fosforo bianco ha fatto sì che i medici non siano stati in grado di prestare le cure mediche adeguate. Le particelle di fosforo bianco all'interno dell'organismo possono continuare a bruciare, causando intenso dolore via via che le ustioni si allargano ed entrano in profondità, fino anche a provocare danni irreparabili agli organi interni. Il fosforo bianco può contaminare altre parti dell'organismo e anche coloro che stanno trattando le ferite.

"Abbiamo riscontrato bruciature diverse, mai viste finora" - ha riferito alla missione di Amnesty International uno specialista in ustioni dell'ospedale al-Shifa di Gaza. "Dopo alcune ore le bruciature diventano più ampie e profonde, si sprigiona un odore rivoltante e poi iniziano a fumare".

Le condizioni delle persone che sono state colpite dal fosforo bianco possono deteriorarsi rapidamente, fino alla morte, persino nei casi in cui le bruciature interessino solo il 10 o il 15 per cento del corpo. I medici palestinesi hanno compreso di cosa si trattasse solo diversi giorni dopo il ricovero dei feriti, con l'arrivo nella Striscia di Gaza di colleghi stranieri.

Alle 8 di sera del 10 gennaio Samia Salman Al-Manay'a, una ragazza di sedici anni, si trovava in casa, nel campo profughi di Jabalia, quando il primo piano è stato colpito da un proiettile al fosforo bianco, che l'ha raggiunta al volto e alle gambe. Dieci giorni dopo, nel suo letto d'ospedale, ha raccontato ai delegati di Amnesty International: "Il dolore è terribile, è come se un fuoco mi bruciasse dentro. Non ce la faccio a sopportarlo. Nonostante le medicine che mi danno, il dolore è ancora troppo forte".

Senza sapere di cosa si trattasse, i palestinesi le cui case erano state colpite da proiettili al fosforo bianco, gettavano acqua sulle fiamme col risultato di alimentarle ulteriormente. Quando i medici, a loro volta ignari, trattavano i feriti con soluzioni saline, questi iniziavano a urlare; ogni volta che cambiavano le garze, vedevano salire il fumo dalle ferite; quando effettuavano analisi su dei campioni, questi al contatto con l'aria cominciavano a bruciare.

"Le autorità israeliane hanno detto ripetutamente che la loro operazione militare era contro Hamas, non contro la popolazione di Gaza. Non può esserci più alcuna scusa per continuare a nascondere informazioni vitali per curare efficacemente le persone ferite negli attacchi israeliani. La mancanza di cooperazione da parte di Israele sta determinando morti e sofferenze del tutto inutili" - ha concluso Rovera. "Le autorità israeliane devono rispettare il proprio obbligo di garantire cure tempestive e adeguate ai feriti, fornendo informazioni complete sulle armi e sulle munizioni usate a Gaza e ogni altro elemento che possa aiutare i medici".

Ulteriori informazioni

Dal 27 dicembre 2008 al cessate il fuoco dichiarato da Israele il 18 gennaio 2009, sono stati uccisi circa 1300 palestinesi (tra cui oltre 400 bambini e 100 donne) e oltre 5300 sono rimasti feriti, molti in modo permanente. Nello stesso periodo, 13 israeliani (tra cui tre civili) sono stati uccisi dagli attacchi di Hamas e di altri gruppi armati palestinesi.


Roma, 23 gennaio 2009


AMNESTY ITALIA

martedì 20 gennaio 2009

Bologna, donne in piazza per dire basta al massacro

Mercoledì 21 gennaio dalle 17 alle 19 saremo in Piazza Nettuno (Bologna) donne singole, di associazioni, della rete delle donne, per tentare di far sentire la nostra vicinanza e sorellanza alle donne di Gaza così drammaticamente colpite dal massacro portato avanti dall'esercito israeliano, per esprimere il nostro BASTA AL MASSACRO, la nostra volontà di chiedere che lo stato israeliano sia chiamato a rispondere davanti al tribunale internazionale per i crimini di guerra e contro i diritti umani che ha compiuto e sta compiendo in nome di una fantomatica sicurezza mentre nega dignità alla popolazione palestinese e infligge a donne e uomini, bambine e bambini, umiliazioni e violenze infinite, sradica ulivi, ruba terra ogni giorno di più, costruisce muri, check point dove nega il passaggio verso un ospedale e costringe le donne a partorire dietro un masso senza curarsi se questo procurerà la morte della madre o del neonato o di entrambi.

C'è un'opposizione in Israele composta da donne e uomini che dedicano la maggior parte del loro tempo a manifestare, a compiere piccoli e grandi atti definiti di "tradimento dello stato ebraico", a cercare di impedire soprusi, a difendere legalmente i palestinesi, a lottare accanto ai palestinesi, a chiedere che si metta fine al massacro, siamo qui anche per sostenere questa opposizione che per quanto minoritaria, fa tutto quello che è possibile fare continuando a ripetere che bisogna cessare l'occupazione dei territori oltre che smettere di massacrare la popolazione di Gaza.

Se guardiamo l'evolversi negli anni della carta geografica del territorio Israelo palestinese, con il progressivo ridursi dei territori dove i palestinesi possono vivere come in bantustan , vediamo chiaramente "Chi vuole mandare via chi":


Lo stato israeliano esiste ed è riconosciuto dal mondo benché non da hamas mentre lo stato palestinese senza la restituzione dei territori rubati non potrà mai esistere.

Siamo qui anche per denunciare le menzogne della maggior parte della stampa e dei media italiani che operando autocensura preventiva,si schierano con Israele dimostrando una mancanza di umanità e ormai una assuefazione alla menzogna che fa veramente orrore, il giornalismo crediamo debba essere un'altra cosa, un massacro è un massacro non è né una guerra, né un conflitto.

Siamo qui anche per denunciare l'uso ancora una volta interno che la politica italiana fa della questione di gaza mettendo in evidenza tutto il suo cinismo e la sua amoralità, qualche esempio positivo di impegno e generosità non fa altro che mettere maggiomente in evidenza la pochezza generale ed i giochi di potere che prevalgono.

Siamo inoltre qui per denunciare lo scarso coraggio dell'Europa, di fronte all'ingiustizia fatale di quanto accade a Gaza, meno male che per iniziativa di Luisa Morgantini e altri parlamentari si sta rallentando l'iter della procedura di perfezionamento dei rapporti con Israele che avrebbe dovuto rafforzare ancora di più i legami prima di tutto economici e poi politici che legano con nodi strettissimi l'Europa e Israele.

Siamo qui per dire che bisogna inventare sempre nuove forme di lotta per dire no alla violenza, perché si metta fine alla mattanza avviando un vero cammino di pace che riconosca l'esistenza e la dignità di tutti.

La rete delle donne


Donne ebree e mussulmane unite contro il massacro di Gaza



Ieri a Londra un presidio di donne ebree e mussulmane, gemellato a quella di domani a Bologna, ha denunciato le gravissime colpe di Israele, dei media e degli stati che appoggiano tali stermini.

Eccovi il comunicato:

Donne mussulmane ed ebree

Presidio e denuncia contro il massacro a Gaza Lunedì 19 gennaio 2009, 17.30-19 BBC Broadcasting House Portland Place, London W1A 1AA
(vicino a Oxford Circus). Aperto a tutte le donne

Ci uniamo per dire chiaramente la verità sulla Palestina Occupata che i media, a cominciare dalla BBC, rifiutano di descrivere - l'apartheid sionista, le donne che partoriscono ai checkpoint, le espulsioni, il furto di terra e di risorse, l'incarcerazione dei bambini, le piscine nelle colonie sionista riempite rubando l'acqua da bere dei Palestinesi. La BBC non ha pubblicamente protestato contro Israele che proibisce ai giornalisti di entrare a Gaza per testimoniare di prima mano sui bombardamenti e l'invasione. E non parla dell'opposizione degli Ebrei a questa strage sionista degli innocenti.

Siamo donne mussulmane ed ebree che protestano contro il massacro e la devastazione di Gaza da parte di Israele. Noi, come il resto del mondo, siamo shoccate da quello che vediamo sugli schermi televisivi, una piccola parte dell'orrenda verità. Ma non siamo sorprese da quest'orrore. Israele caccia i Palestinesi dalle loro case, uccide e ferisce donne, bambini e uomini, abbatte e bombarda le loro infrastrutture dal 1948, quando l'ONU diede il suo permesso all'imposizione di uno stato sionista in terra palestinese. Nessuno lavora di più delle donne nella Palestina Occupata per mantenere in vita famiglie, vicini e amici.

A Gaza, sotto stress per la mancanza delle necessità più elementari come risultato del blocco -- appoggiato dall'Unione Europea -- le donne sotto i bombardamenti e durante l'invasione devono assistere all'uccisione e al ferimento dei loro neonati. Questo è l'atto d'accusa più potente dell'assassinio arrogante, razzista e sessista perpetrato da Israele. Dobbiamo denunciare come, per giustificare la guerra di USA/Israele contro i popoli del Medio Oriente, il Regno Unito ha lanciato una guerra razzista contro i Mussulmani in Gran Bretagna.

Perciò noi, donne mussulmane ed ebree, ci uniamo in un presidio e una denuncia. Finalmente le donne racconteranno la loro storia, di quello che devono fare e sopportare per tentare di preservare la vita e resistere a occupazione e genocidio. In ogni società noi donne siamo le lavoratrici di cura della razza umana. Il nostro lavoro è la sopravvivenza umana. Vogliamo esercitare questo potere per contribuire a fermare la guerra di Israele contro la Palestina.

Link che porta ad un contributo
di Ruba Salih su femminismo e islamismo in epoca post coloniale.

lunedì 19 gennaio 2009

Chi paga il conto?


Fermate le armi si fanno due conti e quello che si capisce è che la distruzione portata da Israele a Gaza non aveva affatto Hamas come obiettivo. Sembra piuttosto che ad Israele interessasse di più distruggere Gaza e "dare una lezione" ai palestinesi, quella che nelle convezioni internazionali si chiama "punizione collettiva" ed è severamente proibita.

Non si spiegherebbe altrimenti la portata della distruzione a Gaza, dove nel corso della presunta caccia ai militanti di Hamas, Israele ha distrutto oltre 4.000 edifici. Se oltre la metà delle circa 1.300 vittime sono civili (donne e bambini perchè gli uomini sono tutti "terroristi" per la propaganda israeliana), se sono stati uccisi e feriti quasi 2.000 bambini, il dato che più colpisce e che meno è sottolineato in queste ore è che per colpire circa 600 "terroristi" sono stati rasi al suolo circa 4.000 edifici, cioè sei o sette per ogni "terrorista" ucciso.

Sembra ovvio che 600 "terroristi" non possano servirsi di 4000 edifici (e di chissà quanti appartamenti in quelli) e che quindi le pretese della propaganda israliana fossero e si confermino false. Ugualmente falsa la pretesa che Hamas usi "scudi umani" per proteggersi, visto che è chiaro che in almeno 3.500 dei 4000 edifici rasi al suolo non ci poteva essere alcun militante di Hamas individuato come bersaglio dagli israeliani.

L'obiettivo di Israele era quindi quello di infliggere una tremenda punizione collettiva a Gaza, demolire migliaia di edifici per ricacciare ancora di più nella miseria e nella disperazione il milione e mezzo di palestinesi detenuti a Gaza. Detenuti che ora sono senza un tetto e che ricevono, in virtù della "tregua", aiuti alimentari razionati secondo la volontà del carceriere israeliano.

I padroni della prigione di Gaza hanno così conseguito il loro fine, un massacro allo scadere della presidenza Bush che aiuterà la rielezione dei criminali al potere, criminali che non hanno esitato a fare campagna elettorale spargendo il sangue di migliaia di abitanti di Gaza.

via mazzetta

sabato 17 gennaio 2009

Mavaffanculova [cit.]



Nel caso rimanesse ancora qualche dubbio, in questo video potrete ascoltare il portavoce del primo ministro israeliano ammettere che Hamas non ha violato la tregua concordata nel corso del 2008.
Solo dopo l'attacco di Israele del 4 novembre 2008 contro sei membri di Hamas, è ricominciato il lancio di razzi.

lunedì 12 gennaio 2009

Più infami delle guerre

L'International Solidarity Movement è un movimento a guida palestinese, fondato nel 2001 da un piccolo gruppo di attivisti, intenzionato a resistere all'occupazione da parte di Israele della terra palestinese, usando metodi e principi nonviolenti di azione diretta. Esso intende supportare e rafforzare la resistenza popolare palestinese aiutando la popolazione palestinese con due risorse, protezione internazionale e una voce con la quale resistere nonviolentemente ad una schiacciante forza di occupazione militare.
(dal sito web dell'ISM)

Ora, questi pericolosi terroristi filo-alqaedisti, che nella loro home page hanno scritto a caratteri cubitali NONVIOLENCE, JUSTICE, FREEDOM (che significano rispettivamente, per chi non lo sapesse, VIOLENZA, INGIUSTIZA e DITTATURA), sono stati presi di mira da una combriccola di ultra-invasati ebrei yankee.
Questa viscida gentaglia ammericana con la kippà in testa, ha deciso, dall'altro capo del mondo, che chiunque aiuti la Palestina e il suo popolo, meriti la morte. E fino qua nulla di sconvolgente.

Il fatto è che hanno creato un sito anti-ISM (anzi Stop the Ism), ovviamente farcito della più becera retorica anti-araba tanto cara ai destrorsi statunitensi, e non paghi hanno messo in bella vista sulla home page, l'elenco di 7 persone (con tanto di foto) dedite a supportare la causa palestinese, INVITANDO L'ESERCITO ISRAELIANO AD UCCIDERLE E LA POPOLAZIONE A SEGNALARE LA LORO POSIZIONE AI MILITARI.
Si tratta per lo più di attivisti dei diritti umani di mezza Europa e tra di essi vi sono ben 5 donne (come sono progressisti questi sionisti..).

Incredibilmente al primo posto della lista, pericolo pubblico numero uno, indovinate chi c'è?
Sì, è proprio lui, il nostro Vik, ora inviato per il manifesto (sono commosso. E' la prima volta che mi sento quasi fiero di essere italiano).
Spettacolari le brevi e infamanti biografie che accompagnano le fotografie: gli attivisti sono per lo più schedati come anarchici bombaroli i quali non fanno altro che sostenere la propaganda di Hamas con i mezzi più svariati. I seguaci a stelle e strisce di Javè riescono persino ad affermare che "tutti questi marxisti-anarchici (??? E' nota a tutti la grande affinità di pensiero che legava il vecchio Karletto a, che so io, un Bakunin) sono responsabili della proliferazione dei tunnel per il contrabbando d'armi"!!!

Basta, non voglio spendere una parola di più su questi luridi vermi d'oltreoceano.

Insultateli un po' voi.


So che c'è in giro sul web un appello al governo italiano per prendere provvedimenti contro questa vergognosa istigazione all'omicidio, ma sapendo chi è il capo, non so neanche perchè ho perso tempo a dirvelo.