Ovunque la prigione, il ghetto, la corazza caratteriale impongono la loro strategia di clausura, lo slancio della disperazione leva il pugno del devastatore. La mano dello scolaro si vendica mutilando tavoli e sedie, macchiando i muri di segni insolenti, strappando gli orpelli della bruttezza, sacralizzando un vandalismo in cui la rabbia di distruggere compensa il sentimento di essere distrutti, violentati, messi a sacco dalla trappola pedagogica quotidiana.
Le bocche si aprono in grida stizzose di protesta, gli occhi attingono nella sfida il bagliore di entusiasmo che è loro rifiutato. Così i movimenti di contestazione periodicamente risvegliati dalle direttive di istanze burocratiche e governative scadono - per assenza di creatività - nello stesso grigiore e nella stessa stupidità del potere inconsistente che li ha provocati. Che ci si può aspettare da manifestazioni gregarie in cui l'intelligenza degli individui, in mancanza di un progetto di cambiamento radicale, si riduce, secondo il comun denominatore delle folle, al più basso livello di comprensione?
Per evitare l'esplosione dei desideri rimossi alla rinfusa, le autorità hanno saputo approntare sacche di decompressione e di trasgressioni controllate. Il lassismo non è il soffio della libertà, è il fiato della tirannia.
Il cortile di ricreazione previsto in prigioni, caserme e scuole permette all'energia libidica compressa dai rigori della disciplina di sfogarsi a piacimento. Esso conserva la separazione fra la testa - il "capo" - e il resto del corpo, che per principio le è sottomesso, ma rovescia l'ordine gerarchico stabilito durante il tempo dello studio. L'ultimo vi diviene il primo: il cattivo scolaro e il bruto muscoloso diventano i leader e la fanno pagare al primo della classe. Nulla è cambiato se non che le pulsioni della vita oppressa si sfogano in pulsioni di morte.
Una volta chiusa la parentesi del disordine tollerato, lo spirito riprende i suoi diritti, con la missione di regnare sul caos. Quelli che il potere professorale ha aureolato della santità del sapere riprendono il loro posto in testa al plotone. La loro intellettualità rigetta nelle tenebre la bestia che si aggira nel profondo dell'essere, mentre la loro superiorità si afferma sull'orda degli indisciplinati, degli svagati, degli ultimi della classe, chiamati bestioni, secondo un insulto che meriterebbe di essere analizzato più a fondo (quando si prenderà coscienza che rinnegare l'animalità delle pulsioni invece di affinarle non conduce all'umanità ma ad una bestialità dal volto umano).
Esiste evidentemente un ritmo naturale dello sforzo e del riposo, della concentrazione e del rilassamento, ma l'organizzazione sociale del lavoro ha sostituito alla semplice alternanza di contrazione e decontrazione il meccanismo psicologico di rimozione e sfogo. Il comportamento ordinario dello sfruttatore che accorda agli sfruttati un periodo di ricreazione per rinviarli ben disposti alla fabbrica e all'ufficio si è espresso perfettamente nell'affermazione del generale de Gaulle irritato dalla rivoluzione del 1968: "È ora di fischiare la fine dell'ora di ricreazione."
Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996
Le bocche si aprono in grida stizzose di protesta, gli occhi attingono nella sfida il bagliore di entusiasmo che è loro rifiutato. Così i movimenti di contestazione periodicamente risvegliati dalle direttive di istanze burocratiche e governative scadono - per assenza di creatività - nello stesso grigiore e nella stessa stupidità del potere inconsistente che li ha provocati. Che ci si può aspettare da manifestazioni gregarie in cui l'intelligenza degli individui, in mancanza di un progetto di cambiamento radicale, si riduce, secondo il comun denominatore delle folle, al più basso livello di comprensione?
Per evitare l'esplosione dei desideri rimossi alla rinfusa, le autorità hanno saputo approntare sacche di decompressione e di trasgressioni controllate. Il lassismo non è il soffio della libertà, è il fiato della tirannia.
Il cortile di ricreazione previsto in prigioni, caserme e scuole permette all'energia libidica compressa dai rigori della disciplina di sfogarsi a piacimento. Esso conserva la separazione fra la testa - il "capo" - e il resto del corpo, che per principio le è sottomesso, ma rovescia l'ordine gerarchico stabilito durante il tempo dello studio. L'ultimo vi diviene il primo: il cattivo scolaro e il bruto muscoloso diventano i leader e la fanno pagare al primo della classe. Nulla è cambiato se non che le pulsioni della vita oppressa si sfogano in pulsioni di morte.
Una volta chiusa la parentesi del disordine tollerato, lo spirito riprende i suoi diritti, con la missione di regnare sul caos. Quelli che il potere professorale ha aureolato della santità del sapere riprendono il loro posto in testa al plotone. La loro intellettualità rigetta nelle tenebre la bestia che si aggira nel profondo dell'essere, mentre la loro superiorità si afferma sull'orda degli indisciplinati, degli svagati, degli ultimi della classe, chiamati bestioni, secondo un insulto che meriterebbe di essere analizzato più a fondo (quando si prenderà coscienza che rinnegare l'animalità delle pulsioni invece di affinarle non conduce all'umanità ma ad una bestialità dal volto umano).
Esiste evidentemente un ritmo naturale dello sforzo e del riposo, della concentrazione e del rilassamento, ma l'organizzazione sociale del lavoro ha sostituito alla semplice alternanza di contrazione e decontrazione il meccanismo psicologico di rimozione e sfogo. Il comportamento ordinario dello sfruttatore che accorda agli sfruttati un periodo di ricreazione per rinviarli ben disposti alla fabbrica e all'ufficio si è espresso perfettamente nell'affermazione del generale de Gaulle irritato dalla rivoluzione del 1968: "È ora di fischiare la fine dell'ora di ricreazione."
Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996
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