sabato 21 febbraio 2009

Liberare dalla costrizione il desiderio di sapere

Lo sfruttamento violento della natura ha sostituito la costrizione al desiderio; esso ha propagato ovunque la maledizione del lavoro manuale e intellettuale, e ridotto ad un'attività marginale la vera ricchezza dell'uomo: la capacità di ricrearsi ricreando il mondo.
[...]
La scuola porta il marchio visibile di una frattura nel progetto umano. Vi si percepisce sempre di più come e in quale momento la creatività del bambino vi è fatta a pezzi sotto il martellamento del lavoro. La vecchia litania familiare: "Prima lavora, ti divertirai in seguito" ha sempre espresso l'assurdità di una società che ingiungeva di rinunciare a vivere per meglio consacrarsi a una fatica che distruggeva la vita e non lasciava ai piaceri che i colori della morte.
Ci vuole tutta la stupidità dei pedagoghi specializzati per stupirsi che tanti sforzi e fatiche inflitti agli scolari portino a risultati così mediocri. Che cosa aspettarsi quando il cuore è assente? Charles Fourier, nel corso di un'insurrezione, osservando con quale cura e quale ardore gli agitatori disselciavano i sanpietrini di una strada e alzavano una barricata in qualche ora, notava che per la stessa opera ci sarebbero voluti tre giorni di lavoro ad una squadra di sterratori agli ordini di un padrone. I salariati non avrebbero trovato altro interesse nella faccenda che la paga, mentre la passione della libertà animava gli insorti. Solo il piacere di essere sé e di appartenersi darebbe al sapere quell'attrazione passionale che giustifica lo sforzo senza ricorrere alla costrizione.
Perché diventare ciò che si è esige la più intransigente delle risoluzioni.
[...]
Noi non vogliamo essere i migliori, noi vogliamo che il meglio della vita ci appartenga, secondo quel principio di inaccessibile perfezione che abolisce l'insoddisfazione in nome dell'insaziabilità.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

3 commenti:

laritorna ha detto...

Quando ero ragazzo ed avevo quel nauseabondo vigore di chi si vantava del lavorare, seguivo la dottrina del lavoro come nobile...Il lavoro fa schifo, sempre. La più grande menzogna sulla quale è basat la nostra convivenza è il ricatto del lavoro. Per quale motivo dovremmo faticare fino alla morte per avere quello che la giusta natura ci offre? Ho buttato l'orologio, rido degli efficienti e auspico il ritorno del baratto. Sotto casa mia, c'è un vecchio ciabattino, che fa ancora le scarpe a mano. Egli ha quasi novanta anni e , nonstante la pensione già acquisita, sta in bottega e lavora con una calma che è, ai molti, irritante. I suoi clienti non sopportano la variabilità del suo lavoro in base alla metereologia, che lo fa correre sul nostro belvedere per ammirare il mare al tramonto. Eppure egli è un giulivo, parla con il vecchio cane accucciato al suo fianco. E' un imperativo per me, non amare il mio lavoro, ma estraniarmi da esso, per sopravvivere. Il lavoro non merita considerazione. La vita è altrove...

Titus Bresthell ha detto...

@ favollo:
il tuo commento è splendido quanto condivisibile.
ed esemplifica al meglio, credo, lo spirito che anima la critica radicale al lavoro.
mi fa piacere sapere che c'è qualcun'altro in giro che ha "buttato via l'orologio".
saluti.

Pel(l)acani ha detto...

Riguardo all'istruzione, ricordo sempre il mio professore di italiano delle medie che facendoci leggere il giornale in classe o "interrogandoci" su alcuni argomenti trattati dai giornali nei giorni precedenti, ci diceva: "il mio compito sara' riuscito quando per voi la lettura del giornale non sara' piu' un obbligo ma una picevole azione quotidiana".
Certo, avesse saputo dei giornali odierni...