sabato 28 marzo 2009

Delle nuove leve per gestire il fallimento

Non è inutile precisare, per aiutare alla comprensione della nostra epoca, attraverso quale processo lo sviluppo del capitalismo sia sfociato in una crisi planetaria che è la crisi dell'economia nel suo funzionamento totalitario.
Ciò che ha dominato, dall'inizio del XIX secolo, l'insieme dei comportamenti individuali e collettivi, è stata la necessità di produrre. Organizzare la produzione tramite il lavoro intellettuale e il lavoro manuale esigeva un metodo direttivo, una mentalità autoritaria, se non dispotica. Erano i tempi della conquista militare dei mercati. I paesi industrializzati depredavano senza scrupoli le risorse delle nuove colonie.
Quando il proletariato iniziò a coordinare le sue rivendicazioni, subì, a dispetto della sua spontaneità libertaria, l'influenza autocratica che la preminenza del settore produttivo esercitava sui costumi. Sindacati e partiti operai si danno una struttura burocratica che avrebbe finito per ostacolare le masse laboriose con il pretesto di emanciparle.
Il potere rosso si stabilisce tanto più facilmente perché riesce a strappare alla classe sfruttatrice porzioni dei benefici, tradotte in aumenti salariali, miglioramenti del tempo lavorativo (la giornata di otto ore, le ferie pagate), vantaggi sociali (sussidio di disoccupazione, mutua).
Gli anni '20 e '30 spingono al suo stadio supremo la centralizzazione della produzione. Il passaggio dal capitalismo privato al capitalismo di Stato avviene brutalmente in Italia, in Germania, in Russia, dove la dittatura di un partito unico - fascista, nazista, stalinista - impone la statalizzazione dei mezzi di produzione.
Nei paesi in cui la tradizione liberale ha salvaguardato una democrazia formale, la concentrazione monopolistica che attribuisce allo Stato una vocazione padronale si compie in modo più lento, sornione, meno violento.
È negli Stati Uniti che si manifesta per la prima volta un nuovo orientamento economico, votato ad uno sviluppo che trasformerà sensibilmente le mentalità e i costumi: l'incitamento al consumo infatti diventa più forte della necessità di produrre.
A partire dal 1945 il piano Marshall, destinato ufficialmente ad aiutare l'Europa devastata dalla guerra, apre la via alla società dei consumi, identificata ad una società del benessere.
L'obbligo di produrre a qualunque prezzo cede il posto ad un'impresa addobbata con gli ornamenti della seduzione, sotto la quale si nasconde nei fatti un nuovo imperativo prioritario: consumare. Consumare qualunque cosa, ma consumare.
[...]
Si sono visti così i settori prioritari sacrificati a vantaggio del settore terziario, che vende la propria complessità burocratica sotto forma di aiuti e protezioni. L'agricoltura di qualità è stata schiacciata dalle lobbies dell'agroalimentare che producono in eccesso surrogati di cereali, carni e verdure. L'arte di abitare è stata sepolta sotto il grigiore, la noia e la criminalità del cemento che assicura le entrate dei gruppi di affari.
Per quanto riguarda la scuola, essa è chiamata a servire da riserva per gli studenti d'élite ai quali è promessa una bella carriera nell'inutilità lucrativa e nelle mafie finanziarie. Il circolo è chiuso: studiare per trovare un impiego, per quanto aberrante sia, si è riallacciato con l'ingiunzione di consumare nel solo interesse di una macchina economica che si blocca da tutte le parti in Occidente - anche se gli specialisti ci annunciano ogni anno la sua trionfale ripresa.
Ci impantaniamo nelle paludi di una burocrazia parassitaria e mafiosa in cui il denaro si accumula e circola in circuito chiuso anziché investirsi nella fabbricazione di prodotti di qualità, utili al miglioramento della vita e del suo ambiente. Il denaro è ciò che manca di meno, contrariamente a quello che vi rispondono i vostri deputati, ma l'insegnamento non è un settore redditizio.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996

1 commento:

laritorna ha detto...

Se vediamo in chiave ultramoderna il concetto di consumo, come afferma Bauman, siamo noi, adesso, la merce da consumare. Siamo stati sostituiti ai beni sullo scaffale. Quando si parla di "risorse umane", si tratta di mercificare noi stessi, il nostro tempo, e non di valuatre quello che facciamo o che sapppiamo fare di altro da noi. In questo paradosso, possiamo divenire merce soggetta a scadenza e , non è difficile pensare che, come merce, possiamo essere eliminati, quando non rispettiamo più i requisiti di mercato.