mercoledì 18 giugno 2008

Breve elogio della vespa



Era più o meno simile a questa, la fantastica vespetta 50cc che ho avuto l'onore di condurre per circa 5 mesi.
Correva l'anno 2000, se non sbaglio, e, dopo che l'ennesimo scooter mi aveva lasciato a piedi, decisi di puntare su qualcosa di più datato ma sicuramente (a mio avviso) più affidabile.
Purtroppo mi sbagliavo.

La comprai per 250.000 Lire da un dentista di Savona, che la teneva in un garage abbandonata a se stessa e alle innumerevoli ragnatele. Non ricordo bene quali parole il proprietario usò per descrivermela, nè ricordo se specificò l'eventuale sostituzione di parti del motore o altro.
Era del 1970, rossa (anche se meno tamarra di quella della foto - v. l'ammortizzatore anteriore a gas e la sella aerodinamica), con una carrozzeria decisamente a posto per una vecchietta di 30 anni.
Appena presa, passò almeno due o tre giorni nelle mani di un mio zio tuttofare che si impegnò nel dare una sistemata all'impianto elettrico, con risultati decisamente soddisfacenti. Una delle meraviglie di questa vespa era il metodo di spegnimento: sul cruscotto, nel posto solitamente riservato al tachimetro, un bottone di alluminio si incastrava perfettamente al centro di una placca di plastica. Bastava premere quello e in pochi attimi il motore esalava le ultime sbuffate.
Finalmente pronta per galoppare sul ridente asfalto della riviera ponentina e lucida a puntino, la presentai così agli "amici del campetto". Dopo le prime risa di scherno (onnipresenti, anche senza motivo), i più esperti passarono ad analizzarne subito gli aspetti tecnici, e fu lì che con mia grande sorpresa (e ignoranza) scoprì che quell'esile carrozzeria non nascondeva il più frusto e classico dei motori 50cc Piaggio, ma un cilindro 70 dalla provenienza sconosciuta (o almeno non si riuscì a leggere alcuna marca su di esso) e un carburatore Dell'Orto da 19.
Rimasi dunque entusiasta dei "commenti da officina" degli amici e non esitai a provare se effettivamente quella vespetta rossa non avesse una marcia in più delle altre. In effetti, contando i trent'anni che la ciclistica originale doveva sopportare (l'ammortizzatore anteriore era da panico, quasi da mal di mare da quanto affondava a ogni pinzata di freno), era sorprendente che in allungo raggiungesse quasi gli 80 km/h, dando paga ai più moderni e scattanti scooter.
In salita, poi, non c'era storia: ne ricordo ancora una in Pineta (zona Gorleri, chi mi conosce lo sa) con il Biurla come passeggero (chi lo conosce, sa il suo "peso"), che la piccola affrontò senza indugi, dall'alto della sua prima marcia, alla facciazza di tutti gli scooterini col loro cambio a variazione continua.
Purtroppo, come già anticipato, anche le storie più belle hanno un finale drammatico. E questo è il mio caso. Già, perchè un pomeriggio di settembre ero lanciato sul lungomare a discreta velocità, in terza marcia piena, diretto verso il "campetto", quando all'improvviso la ruota posteriore decise, mio malgrado, di bloccarsi. Dopo una ventina di metri misti a panico e frenata, riuscì a fermare la puledrina impazzita proprio sullo stop. Mi ripresi, respirai a fondo, scesi dalla vespa e sconsolato iniziai a spingere, consapevole di essere stato di vittima del più classico dei "grippaggi".
La vendetti una settimana dopo per 150.000 Lire.

Ciononostante nulla ha scalfito la mia devozione verso questo piccolo gioiellino di ingegneria meccanica italiana, e chissà che magari, in un futuro non troppo lontano, io non ritorni in sella ad un altro magnifico esemplare di vespa (nella locuzione "magnifico esemplare" non rientrano, per me, i modelli successivi al 1990).

1 commento:

gighe ha detto...

W la Vespa!Made in Italy!