La scuola ha promulgato per secoli il sequestro del fanciullo da parte della famiglia autoritaria e patriarcale. Ora che si abbozza tra i genitori e la loro progenie una comprensione reciproca fatta di affetto e di autonomia progressiva, sarebbe un peccato che la scuola cessasse di ispirarsi alla comunità familiare.
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La famiglia tradizionale preferiva fabbricare dei bambini in serie piuttosto che offrire la vita a due o tre piccoli esseri ai quali avrebbe dedicato senza riserve amore e attenzione. Quelli che non morivano in tenera età serbavano nel cuore il più delle volte una ferita segreta. La tirannia, il senso di colpa, il ricatto affettivo generarono in tal modo generazioni di spacconi che nascondevano sotto la durezza del carattere un infantilismo che imponeva loro di cercare un sostituto del padre e della madre in quelle famiglie a prestito che erano le chiese, i partiti, le sette, il gregarismo nazionale e i corpi di armata di ogni genere. La storia non ha conosciuto, per la sua disumanità, che dei bravacci in carenza di affetto. Ci voleva un bel po' di cinismo per evocare la "selezione naturale", tipica della specie animale, quando la produzione di carne da cannone e da fabbrica implicava la sua correzione statistica, e l'economia familiare di procreazione comportava un vizio di forma in cui la morte svolgeva la sua parte.
L'evoluzione dei costumi ci fa guardare oggi come ad una mostruosità questa proliferazione bestiale di vite irrimediabilmente condannate a venir riassorbite sotto i colpi di machete della guerra, del massacro, della carestia, della malattia. Eppure: stigmatizzare la sovrappopolazione dei paesi dove l'oscurantismo religioso si nutre della miseria che consciamente mantiene, e accettare che in Europa uno stesso spirito arcaico e sprezzante continui a trattare gli studenti come bestiame denota un'evidente incoerenza.
Perché il sovraffollamento delle classi non è solo causa di comportamenti barbari, di vandalismo, di delinquenza, di noia, di disperazione, perpetua per di più l'ignobile criterio della competitività, la lotta concorrenziale che elimina chiunque non si conformi alle esigenze del mercato.
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Non ci sono bambini stupidi, ci sono solo educazioni imbecilli. Forzare lo scolaro a issarsi fino in cima al cesto contribuisce al progresso laborioso della rabbia e della furbizia animali, non certo allo sviluppo di un'intelligenza creatrice e umana.
Ricordate che nessuno è paragonabile né riducibile a nessun altro, a niente altro. Ciascuno possiede le sue proprie qualità, non gli resta che affinarle per il piacere di sentirsi in accordo con ciò che vive. Che si cessi dunque di escludere dal campo educativo il fanciullo che si interessa più ai sogni e ai criceti che alla storia dell'Impero romano. Per chi rifiuta di lasciarsi programmare dai calcolatori della vendita promozionale, tutte le strade portano verso di sé e verso la creazione.
Ieri ci si doveva identificare al padre, eroe o cretino dai così dolci sarcasmi. Ora che i padri si accorgono che la loro indipendenza progredisce con l'indipendenza del bambino, ora che sentono abbastanza l'amore di sé e degli altri per aiutare l'adolescente a disfarsi della loro immagine, chi sopporterà che la scuola proponga ancora come modelli di realizzazione il finanziere efficace e corrotto, l'uomo politico energico e rimbecillito, il mafioso che regna con il clientelismo e la corruzione, mentre l'uomo d'affari trae i suoi ultimi profitti dal saccheggio del pianeta?
Ricercare la propria identità in una religione, un'ideologia, una nazionalità, una razza, una cultura, una tradizione, un mito, un'immagine vuol dire condannarsi a non raggiungersi mai. Identificarsi a ciò che si possiede in sé di più vivo, questo solo emancipa.
Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996
sabato 6 giugno 2009
Imparare l'autonomia, non la dipendenza
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3 commenti:
quello che stavo cercando, grazie
Si, probabilmente lo e
La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
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